LA LOCANDINA di don Giovanni Mazzillo - Dopo l'immagine del tempio di domenica scorsa, ritorna quella del deserto della prima domenica di Quaresima. Questa volta è però un deserto popolato di serpenti: serpenti velenosi (letteralmente brucianti) che insidiavano i passi di quanti l'attraversavano al tempo di Mosè e di fatto restavano a marcire morti tra quelle dune. Ne rievoca la scena proprio Gesù, che tuttavia ricorda anche l'intervento salvifico di Dio, consistente non nell'eliminare i serpenti, ma nel procurare la salvezza attraverso lo sguardo verso una sua immagine innalzata davanti a tutti sulla cima di una stanga (cf. Numeri 21,4-9). Nell'atto di issare il serpente Gesù vede il momento in cui egli stesso sarà innalzato sulla croce. L'apostolo Paolo vi vedrà persino la crocifissione del male e dei suoi effetti («Egli lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce»: Col 2,14). Ma ciò accadde per la definitiva sconfitta del male e dei suoi effetti strutturali su di noi, grazie all'offerta che Gesù fa liberamente della sua vita. Su quella croce egli infatti annienta il male, trasformandolo da conseguenza di un radicale odio in un atto di supremo amore. Chi guarderà a lui pendente da quel tronco e proverà amore, ritroverà l'amore perduto, ritroverà l'amore in quanto tale, lo ritroverà tutto intero. Lo ritroverà nella sua infinita estensione e vastità, perciò sarà salvato, perché confesserà che Cristo ne è piena realizzazione e compimento.
PREGHIERA
Avanza la croce della nostra chiesa di Tortora
sulla strada che dal paese porta all'ultima nostra dimora.
Va alta la croce che ha accompagnato sguardi e speranze:
quelli dei nostri cari che sono già andati.
Sguardi carichi d'immortalità
come quelli che verso di te, Gesù, anche oggi s'innalzano,
mentre la tua croce si staglia nell'azzurro del cielo,
superando le cime degli alberi.
Va avanti la tua croce nel nostro deserto,
che ora comincia a fiorire con i primi tepori di marzo,
ai bordi della stessa strada, l'ultima,
che è la più corta e la più lunga,
perché se a morire basta un istante,
a ricordarlo non basta tutta la vita.
È la nostra vita che sfiora la morte ogni giorno
e ne resta sempre più contagiata ...
eppure da quando tu sei salito su quella croce
liberamente e per noi, ci contagia e ci attira l'immortalità,
che proprio da quel tronco fiorisce (GM/18/03/12)
Efesini (2,4-10) - Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù. Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo.
Vangelo secondo Giovanni (3,14-21) - In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
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