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La Chiesa post-conciliare di papa Ratzinger

IL SETTIMANALE - Non solo sui Dico si abbatte l’ascia intransigente del pontefice tedesco. Nella Sacramentum Caritatis, l’ultima sua lettera pastorale, si delinea il progetto della chiesa ratzingeriana. Un documento atteso, visto che nessuna dichiarazione programmatica aveva reso Benedetto XVI al momento della sua elezione. Ora che si conosce che cosa ha in mente il successore di Woytila, si può dire che ce n’è abbastanza per farsi un’idea di quella che vuol essere la Chiesa nei prossimi anni. Si ricava la deludente convinzione che si voglia fare tabula rasa della chiesa conciliare.

Che si voglia alla fine riconoscere che Levebvre, il vescovo francese fiero avversario di Giovanni XXIII, aveva ragione a rifiutare il Vaticano II e a volere una chiesa attestata sul fronte dell’ante omnia, anti tutto ciò che potesse significare modernità. La Chiesa romana si rintana intra moenia, si rinchiude nel proprio assolutismo, rinunciando anche a quanto di buono era stato realizzato in questi anni con le altre chiese cristiane. La logica ratzingeriana appare quella dell’inclusione forzosa delle altre fedi in quella cristiana secondo l’interpretazione romana. Non solo si torna al latino nella liturgia, non solo si confermano le posizioni rigide e non negoziabili in materia di famiglia, matrimoni ed esclusioni dei divorziati dai sacramenti, ma si dice no anche all’intercomunione e alle concelebrazioni con officianti di altre confessioni.

Ecumenismo e dialogo interreligioso sono parole destinate ad essere oscurate dalla riaffermazione del primato cattolico nunc et semper. A meno che non si accetti in toto sine ac dubio le direttive del papa romano. Un dialogo dove solo uno, il papa, parla e gli altri devono solo limitarsi ad ascoltare e decidere se condividere o no? Che fine faranno i matrimoni interconfessionali tra cattolici, valdesi e metodisti? Che ne sarà dei rapporti con le altre fedi, a incominciare da quella islamica, ormai piuttosto diffusa in Italia? Ma che ne sarà delle aspettative di tanti laici cristiani che vorrebbero una chiesa diversa, aperta e non arroccata, una chiesa che faccia del messaggio di Cristo la sua stella polare? I segnali che vengono da piazza san Pietro sono rivolti ai cattolici, si dirà.

Ma che ne sarà allora dei cattolici delle comunità di base, come quella di Bose di Enzo Bianchi, che riconoscono nella spiritualità autenticamente vissuta il terreno d’incontro con laici e credenti di tutte le confessioni? O dobbiamo aspettarci che anche per loro verrà la dichiarazione vaticana come quella di questi giorni per il vescovo sudamericano Sobrino, secondo la quale le idee del religioso salvadoregno sono incompatibili con quella delle gerarchie ecclesiastiche di Roma? Non sarebbe una scomunica, ma ci manca poco. E’ impossibile non dirsi cristiani, ma è difficile esserlo con la continua minaccia dell’esclusione se solo l’essere seguaci di Cristo è sentito come premessa dell’essere liberi. Responsabilmente liberi.

Enrico Esposito
21/03/2007
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