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Criminalità mafiosa e comportamenti para-mafiosi

IL SETTIMANALE - Nel suo intervento a Crotone giovedì 5 ottobre ’06, in occasione della visita del ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni, il Procuratore antimafia Pietro Grasso ha sottolineato l’importanza della scuola e dell’educazione alla legalità delle nuove generazioni come mezzo indispensabile per lottare efficacemente e sconfiggere la mafia. Un discorso particolarmente apprezzato dalla numerosissima platea di studenti, docenti e autorità istituzionali. Verso tutti Grasso ha usato un linguaggio semplice ma chiarissimo, di chi, come ha voluto sottolineare nel ringraziare tutti per il calore e l’affetto ricevuto, crede fermamente in quello che fa e dice pur nella consapevolezza di essere esposto in prima linea e del rischio quotidiano che corre chi vuole avere come punti di riferimento i giudici Falcone, Borsellino e i tanti altri che nella lotta per la legalità, contro la prevaricazione e la violenza, hanno pagato con la propria vita.
L’educazione e la scuola, quindi, come veicolo per contrastare alla radice un fenomeno che dimostra di essere profondamente inserito nei complessi meccanismi della società attuale, soprattutto quella del Sud e della Calabria in particolare. Si tratta di una battaglia culturale, prima ancora che di quella encomiabile delle forze dell’ordine che evidentemente da sole non bastano; si tratta di mobilitare le coscienze e là dove non sono sufficientemente forti, bisogna fare in modo che cresca la consapevolezza attraverso un lavoro incessante che faccia emergere quelle forme di degenerazione dei rapporti fra cittadini, istituzioni pubbliche e private ai vari livelli, che ormai hanno sviluppato una sorta di comportamenti assimilabili alle pratiche mafiose che privilegiano i furbi, i raccomandati, i faccendieri, a scapito delle persone perbene, oneste, capaci, competenti e meritevoli che vengono mortificate e bollate come ingenue.
Queste pratiche squallide e deplorevoli, indirettamente diffondono nel tessuto sociale l’idea che la strada per raggiungere un risultato non è lo studio, l’impegno, l’acquisizione di una formazione seria e specifica, la moralità, bensì la conoscenza della persona giusta, vicina al potente di turno che spianerà la strada per andare a ricoprire un ruolo che invece non spettava. Una mansione magari delicata, importante per il funzionamento della macchina amministrativa, o strategicamente delicata per scelte di indirizzo politico-economico, dove si richiederebbero proprio quelle competenze e integrità morale che invece sono state scandalosamente mortificate. Come si comporterà il beneficiario di simile ruolo? Sarà improvvisamente folgorato sulla via di Damasco e diventerà integerrimo ed irreprensibile? Non siamo così ingenui per crederci ! È molto più probabile che costui vestirà i panni dell’arrogante autoritario, qualità tipica dell’ignorante che è stato messo a ricoprire un ruolo che non è capace di svolgere.
Ma il danno diventa ancora più grave se si considera che costui diventerà ambasciatore e divulgatore di una filosofia socio-politica che detesta e mette alla berlina chi si comporta onestamente e non vuole saperne di legarsi al carro di un potente per ottenere ciò che invece spetterebbe di diritto. E questo stato di cose, così diffuso e profondamente inserito nelle relazioni sociali al punto da diventare “normalità” di cui non meravigliarsi più, non è forse un modo di essere che crea di fatto quei “comportamenti mafiosi” che invece la società civile dovrebbe combattere?
Un’equazione che non è affatto azzardata se è vero, com’è vero, che la criminalità organizzata, la mafia, per affermare il proprio potere e le proprie pratiche illegali si basa proprio sulla violazione sistematica e sul disprezzo delle leggi e delle regole che sono invece alla vita di uno Stato democratico. Ecco allora perché non è per niente scandalosa la conclusione alla quale sono giunti due autorevoli esponenti istituzionali a livello nazionale, di maggioranza e opposizione i quali riferendosi alla situazione calabrese dopo il delitto Fortugno, hanno candidamente affermato che in Calabria non esiste una società capace di reggere fino in fondo la sfida sempre più arrogante ed invadente della criminalità mafiosa.
E non è neanche un caso che il Procuratore nazionale antimafia ed il ministro della Pubblica istruzione, richiamano la necessità inderogabile di far nascere e crescere una cultura della legalità, fin dai banchi di scuola, che diventi patrimonio genetico delle nuove generazioni. Ma tutto ciò dovrà necessariamente passare anche attraverso un profondo ricambio di una classe politica che non sembra per niente all’altezza del compito che l’aspetta.
san.pio gio.
07/10/2006
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