IL SETTIMANALE - Halloween. Zucche piene o teste vuote? Alcune riflessioni sul fenomeno americano che spopola ormai anche nel Vecchio continente e, naturalmente, anche in Italia al punto da essere praticamente considerato alla stessa stregua di una delle più antiche e consolidate tradizioni di casa nostra come il carnevale, penso sia giusto farle. Non fosse altro per il fatto che si ha la netta sensazione che da un po’ di tempo sia sempre più raro fermarsi a pensare e porsi delle domande su ciò che stiamo facendo, su chi ce lo propone, sul perché ci viene indicato, magari con accattivanti messaggi pubblicitari che ci dicono persino quello che è divertente e quello che invece appare improvvisamente noioso, banale e meschino.
Pensare. Già. Il fatto è che proprio questa facoltà, prerogativa così naturale e tipica dell’essere umano, sembra ormai finita in un angolino remoto della propria esistenza, fra le cose inutili e fastidiose, considerate quasi un ostacolo al libero manifestarsi dell’espressività del vivere quotidiano. Molto spesso mi sono chiesto, ed ho chiesto a chi si preparava a celebrare la notte di Halloween, che cosa centrava questo fenomeno tipicamente nordamericano, o comunque della tradizione storico-culturale di quella parte del mondo, con gli stili di vita ed i modi di vivere la festa ed il tempo libero delle nuove generazioni di quest’altra parte dell’Oceano.
Non ho finora mai avuto una sola risposta convincente, neanche semplicemente per dire che si tratta di un qualche cosa di divertente. Piuttosto ho notato che si badava soprattutto all’aspetto consumistico, con tanto di costumi e travestimenti, una sorta di mascherata fuori stagione o semplicemente una delle tante occasioni per ritrovarsi a fare baldoria con gli amici, magari spendendo un po’ di soldi in più per l’abbigliamento e accessori vari.
Ho registrato anche la reazione di coloro che, bollando la nuova tendenza come uno dei tanti modi di scimmiottare gli americani, hanno candidamente chiesto: “Perché in America non hanno mai pensato di far diventare il nostro carnevale una loro tradizione consolidata?” La questione è seria, ma verrebbe da rispondere che evidentemente la forza di imporre determinate manifestazioni per così dire, folcloristiche, è stata maggiore rispetto alle millenarie e variopinte saghe dell’ironia, della satira e del divertimento sfrenato di casa nostra. Altri, inoltre, hanno fatto rilevare che soprattutto in Italia si viva ormai una sorta di colonizzazione socio-culturale, per cui tutto ciò che arriva dagli States viene assimilato e diventa fenomeno di costume. Si dirà, è il prezzo della globalizzazione! Ma è curioso però che essa sia sempre e soltanto a senso unico.
Lungi da me l’idea di un rigurgito di antiamericanismo, non ci penso affatto e non è colpa degli americani se qui da noi si beve tutto quello che di là arriva senza neanche chiedersi cosa significa. In ogni caso, senza farla troppo lunga e, come già altre volte chiarito, senza la pretesa di essere definitivi nelle conclusioni, ma al contrario con la reale intenzione di aprire una discussione, vorrei soltanto aggiungere che non è per niente esaltante lo spettacolo di tante zucche vaganti nella notte in compagnia di tante teste vuote!
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