Sono stati a Roma migliaia di persone a manifestare in piazza Farnese. Non erano solo gay e lesbiche. C'era anche gente comune, coppie eterosessuali, sposate o semplicemente conviventi, senza grandi distinzioni. Nonostante le organizzazioni partecipanti erano veramente moltissime, il maggior numero di persone era lì al di fuori di bandiere e sigle. E'stata lì per chiedere che anche in Italia si respiri un po' di civiltà, che vengano riconosciuti diritti che altrove sono stati sanciti da anni. Ma soprattutto per protestare con fermezza contro l'ingerenza nella politica italiana di una Chiesa cattolica non solo omofoba, ma arrogante e retriva.
Per la prima volta accade che gli omosessuali siano la punta di diamante di una battaglia culturale e sociale: quella per la laicità dello stato e, nel caso specifico, per il riconoscimento di diritti che riguardano anche gli eterosessuali. Questa è stata la vera novità della giornata di ieri. Gli omosessuali stanno alla testa del paese, almeno oggi.
Come risponde l'universo della politica a questa novità? I più non se ne sono accorti, altri stentano a capacitarsene, altri infine lo hanno capito, e si fanno il segno della croce. I segnali sono contraddittori. Il Governo ha abbandonato, di fatto, i suoi Dico, rimettendo la questione al Parlamento e alla «libertà di coscienza»: in sostanza si è tirato indietro subendo il ricatto del Vaticano, ma non rinuncia a porre, di fatto, un veto al riconoscimento di un nuovo istituto da affiancare al matrimonio: si leggano le dichiarazioni della Bindi nell'ultima seduta della Commissione Giustizia del Senato. Il presidente di questa Commissione, il diessino Salvi, ha svolto una requisitoria spietata contro il disegno di legge governativo sui Dico: pasticciato, ingestibile, destinato a creare contenziosi a non finire, in una materia in cui il massimo di chiarezza nell'esprimere la propria volontà dovrebbe essere di rigore. Insomma, il progetto dei Dico non può essere la base per una proficua discussione. Meglio lavorare sulle proposte di iniziativa parlamentare: nove, di cui otto del centrosinistra (anche se quello di Manzione, Margherita, potrebbe essere dell'opposizione), uno (Biondi) di F.I.
Ha ragione Salvi. Il progetto dei Dico avrebbe potuto essere una sia pur microscopica e distorta conquista se fosse stato velocemente approvato e possibilmente migliorato. Ma se si deve ripartire da capo non può costituire una base di discussione: in ogni aspetto (iscrizione all'anagrafe, durata della convivenza per accedere a certi diritti, poca chiarezza sull'istituto stesso) esso si collocava addirittura al di là di alcune proposte della destra. Per esempio, era più arretrato della proposta di F.I. giacente alla Camera (firmatari Rivolta, Pecorella e altri). E' vero che la proposta F.I. giacente al Senato (Biondi) è ancor peggio, ma la differenza fra le due sta a significare che anche all'interno della destra è possibile rimescolare le carte. L'idea di Salvi dunque è buona: lavorare con chiarezza sul minimo comun denominatore delle proposte giacenti: comunque vada, andrà meglio che con i Dico. Ma potrebbe, con la discussione e la spinta propulsiva combinata del movimento e delle volontà politiche, andare anche molto meglio.
Certo, c'è il rischio che tutto si insabbi e per l'intera legislatura non si approdi a nulla. Ma ormai non si parte più da zero, questo è chiaro. Il tema del riconoscimento delle unioni civili, anche per i gay, è finalmente all'ordine del giorno nel paese: a loro modo vi hanno contribuito anche Pollastrini e Bindi. Da questo risultato non si può prescindere.
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