ORSOMARSO – Il Parco nazionale del Pollino compie 14 anni di vita. La sua istituzione, perimetrazione e misure minime di salvaguardia, con Decreto del Ministero dell’Ambiente risale, infatti, al 31 dicembre del 1990 mentre la delimitazione definitiva dell’area protetta e il varo dell’Ente di gestione, furono adottate con un successivo decreto del novembre 1993.
Un periodo non lunghissimo ma sufficientemente consistente per chiedersi qual è lo stato si attuazione di quello che era stato indicato come un nuovo modello di sviluppo per le popolazioni residenti all’interno del parco e più in generale per l’intero territorio che ha, proprio nel patrimonio naturalistico ed ambientale, la sua più importante risorsa.
Un parco interregionale che, per estensione e numero di abitanti è uno dei più grandi d’Europa: circa 200 mila ettari, 150 mila abitanti, 56 comuni di cui 32 calabresi e 24 lucani, due regioni, tre province, nove Comunità montane. Un vero e proprio colosso, qualcuno l’aveva definito di carta e aveva in parte ragione, a causa dei problemi enormi connessi con il difficile compito di dare una organizzazione ad una struttura complessa chiamata a fare i conti con le più svariate esigenze ed una molteplicità di questioni aperte.
Ma come ogni parco che si rispetti, anche quello del Pollino è nato e cresciuto fra aspre polemiche: fra i cacciatori, decisamente contrari a causa dell’eccessiva superficie di territorio che veniva vincolato e quindi vietato all’attività venatoria; il variegato fronte degli ambientalisti, ma anche di tutti coloro che hanno visto nell’istituzione del parco l’inizio di un percorso virtuoso capace di favorire una inversione di tendenza rispetto all’inarrestabile declino dei paesi dell’interno, destinati inevitabilmente ad una malinconica chiusura per mancanza di prospettive occupazionali e di vitalità per i residenti. Un progetto di sviluppo, dunque, che, partendo dall’indifferibile necessità di salvaguardare specie faunistiche e floristiche a rischio reale di estinzione, avrebbe dovuto far leva proprio su questo patrimonio di inestimabile valore e bellezza, da sviluppare in funzione di una corretta fruizione di tipo turistico.
Si tratta della famosa equazione che mette d’accordo e vuole far camminare insieme in perfetta armonia, da una parte la tutela e dall’altra la valorizzazione e lo sviluppo economico delle comunità. Un’idea ed un concetto che il decreto istitutivo del parco, nelle parte riguardante le finalità, aveva messo in evidenza con estrema chiarezza ponendo l’accento sulle specie e sugli ecosistemi da salvaguardare, riconoscendone l’altissima valenza naturalistica e l’urgenza di un intervento normativo che ne evitasse la completa scomparsa.
È il caso, per fare un esempio, del capriolo appenninico di Orsomarso, unico rappresentante sopravvissuto della specie italica Capreolus capreolus, di cui negli anni ottanta del secolo scorso, come avevano rivelato vari studi e ricerche sul campo, erano rimaste soltanto poche decine di esemplari, rifugiati ormai soltanto all’interno della valle del fiume Argentino e perennemente sottoposti alla minaccia dell’aggressione dei bracconieri. Ma era anche il caso dell’aquila reale, del picchio nero, della lontra o dell’albero simbolo del parco del Pollino, il pino loricato, che cresce nelle zone più impervie ed inaccessibili, fra dirupi e strapiombi in continua lotta contro la furia degli elementi. Una pianta che, per la sua longevità, vi sono esemplari che raggiungono i novecento anni di età, e per le sue caratteristiche costitutive è stato definito anche un vero e proprio fossile vivente.
Un secondo aspetto che il decreto 31 dicembre 1990 ha ben puntualizzato, riguarda la prospettiva che l’istituzione del parco diventi una occasione di sviluppo economico per le popolazioni che vivono all’interno; infatti non a caso l’area protetta comprende anche decine di centri storici con innumerevoli attività produttive legate principalmente alle tradizionali attività agro-silvo-pastorali. Ed è proprio alle comunità del parco che il legislatore ha riservato un’attenzione particolare ponendo come obiettivo principale quello della riscoperta e valorizzazione della cultura, delle tradizioni, della storia, del patrimonio artistico ed archeologico di un’intera area che l’uomo ha frequentato fin dall’età paleolitica.
Un terzo aspetto che viene richiamato con altrettanta forza dalle finalità istitutive del parco, riguarda la funzione educativa e didattica che esso dovrà rappresentare, sia per gli studiosi che operano nel mondo accademico, ma anche e soprattutto per le nuove generazioni che a partire dal mondo della scuola sperimenteranno percorsi di conoscenza e di ricerca sul campo dall’altissimo valore culturale, educativo e formativo. Un impianto, quello della normativa che ha dato il via al parco del Pollino, che certamente è basato su un nuovo modello di sviluppo e di crescita economica, che punta sulla valorizzazione delle risorse endogene di un territorio e contemporaneamente sulla loro conservazione.
Un concetto di tutela e salvaguardia, tuttavia, che non significa mummificazione del patrimonio esistente, ma al contrario, ne esalti al meglio le qualità che, proprio grazie alla loro presenza, consentono di dare alle comunità condizioni di vita dignitose e durature per il futuro. Per molti questi contenuti furono considerati poesia o nostalgici sogni romantici, sfiduciati forse da un innato fatalismo che considera la gente del sud come incapace di affrontare delle sfide così importanti, soprattutto quando si tratta di farlo nel paese nel quale si è nati e cresciuti. Ma al di là di posizioni estreme come queste ultime, o del tipo di coloro che pregiudizialmente vedono il parco come un inutile ammasso di vincoli e divieti che bloccano lo sviluppo e la crescita, oggi, a distanza di quasi un quindicennio dalla sua istituzione, è legittimo e doveroso interrogarsi su quello che è successo in tutti questi anni e andare a verificare nel merito come le scelte sono state portate avanti dall’Ente di gestione e dai presidenti che si sono succeduti.
È altrettanto auspicabile che anche i sindaci dei comuni del territorio si chiedano fino a che punto si sono sentiti investiti e coinvolti nella realizzazione di un progetto che andasse nella direzione indicata dalle grandi finalità del parco del Pollino. Sarebbe comunque ingeneroso sostenere, come molti fanno, che il parco non è servito a niente o che ha creato soltanto problemi, alcuni passi importanti sono stati compiuti, anche se vi è qualche componente politica che lo considera alla stessa stregua di un qualsiasi Consorzio di bonifica, con tutto il rispetto, da utilizzare in modo clientelare.
In realtà, se guardiamo alle cose sforzandoci di essere obiettivi, un importantissimo risultato il parco l’ha già raggiunto ed è dimostrato dal fatto che il capriolo autoctono, che rischiava di scomparire definitivamente negli anni novanta del secolo scorso, grazie all’istituzione dell’area protetta e alla maggiore vigilanza adottata contro l’odioso fenomeno del bracconaggio, risulta essere in forte ripresa e sta rapidamente ripopolando i monti dell’Orsomarso e lo stesso massiccio del Pollino. Questo dato soltanto può essere sufficiente per sostenere che ne è valsa la pena di istituire il parco.