LA LOCANDINA di don Giovanni Mazzillo - Nella festa di oggi celebriamo il dono che Gesù fa di se stesso nei segni del pane e del vino, perché attraverso di essi realizziamo la comunione: tra noi e con Dio. Un ottimo spunto ci è offerto dal Concilio Vaticano II, dove troviamo scritto, a proposito delle nostre comunità, che in esse «anche se spesso piccole e povere o viventi nella dispersione, è presente Cristo, per virtù del quale si raccoglie la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Infatti “la partecipazione al corpo e al sangue di Cristo altro non fa che trasferirci in ciò che assumiamo”» (Lg 26, che richiama S. Leone Magno [Serm.63]). Con l’eucaristia diventiamo partecipi dell’eternità, perché partecipiamo della vita stessa di Gesù. È la “redenzione eterna” di cui parla la lettera agli Ebrei. L’unione di tanti alla stessa vita di Cristo è strettamente correlata all’unione tra noi, ma la qualità “eterna” (aionía, cioè che supera i secoli) della sua alleanza deve influire sulla qualità dei nostri rapporti interpersonali. Anche per questo l’eucaristia è strumento e compimento di una comune-unione, che va ben al di là del comune. La “comunione” è dunque condivisione della stessa sorte di immortalità cui siamo destinati. Questa nasce e si alimenta tramite il Corpo e il Sangue del Signore.
(L'immagine riporta Gesù nell'atto di spezzare il pane per i suoi discepoli stretti intorno a lui)
PREGHIERA
Ci sentiamo tutti uniti a te,
o Gesù, come nell’ora in cui
raccogliesti i discepoli
per il tuo gesto estremo.
Donando interamente te stesso,
ti offrivi come pane e come vino,
cibo e bevanda con i quali
volevi per sempre restare in mezzo a noi
e volevi che anche noi restassimo insieme.
È questa l’eterna eredità promessa
e noi grazie a te la raggiungiamo già fin d'ora.
L’eucaristia ci immerge nell’eterno
e noi in essa ritroviamo
la strada che accostandoci a te
ci ricongiunge ad ogni sogno
d’umana fraternità
già su questa nostra terra. (GM/18/06/2006)
Lettera agli Ebrei (9,11-15) - Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna. Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente? Per questo egli è mediatore di un’alleanza nuova, perché, essendo intervenuta la sua morte in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa.
Vangelo di Marco (14,12-16.22-26) - Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua. Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio». Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.
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