Carissimi Amici,
eccomi di nuovo qui con la locandina della 4^ di quaresima, con l'augurio di vivere intensamente quest'ultimo scorcio di Quaresima, visto che al prossimo appuntamento ci troveremo già di fronte alla domenica delle palme. Aggiungo anche questa volta qualche collegamento, il link con il resoconto che ADISTA (Agenzia Di Stampa) fa della settimana sociale di Vibo (un articolo è in chiaro, per gli altri bisogna essere abbonati alla rivista... vedi alla Home page di www.adista.it ). Aggiungo inoltre una seconda lettera di risposta a quella sul decantato impegno sociale in consonanza con la Dottrina sociale della Chiesa dell'onorevole Bondi e del suo Premier: è delle suore missionarie e porta il titolo NON SI PUÒ USARE LA FEDE PER PROCACCIARE ELETTORI.... (ndr. quest'ultimo viene pubblicato a parte)
Con ciò un caro saluto e una buona lettura (G.M.)
LA LOCANDINA - La quarta domenica di quaresima è sovrastata, per così dire, dall'ombra di quella grande croce che attesta ancora caparbiamente l'amore, l'amore disposto anche ad annientarsi per l'altro, per gli altri. L'amore di Cristo, l'amore che è Cristo. Il dialogo notturno di Gesù con Nicodemo, se fa pensare ai tanti dialoghi fatti e ai tanti altri ancora da fare con chi, per vari motivi, si accosta alla fede solo con il favore del silenzio e della solitudine, è tuttavia illuminato dalla luce di quella gratuità di Dio, che si è esposta, fragile nuda, persino all’assurdo, pur di conquistare con la sua follia, noi tutti mendicanti di senso e di pace, noi tutti mendicanti d’amore.
4^ Domenica di quaresima (B) 2006
Un colle e un albero,
un albero che ha forma di croce,
una croce che attira gli sguardi,
tanto che chi la contempla si salva.
Su quella croce si è consumato l’Amore,
s’è consumato ed ha vinto.
Ci ha fatto rivivere
quand’eravamo ancora lontani:
lontani e perduti, a sé ci ha chiamati
e quel segno di inaudita crudeltà
s’è tramutato in vessillo
di Grazia invincibile,
che sconfigge ogni violenza e chiusura
per aprirci alla gioia
d’un nuovo
intramontabile giorno. (GM/26/03/06)
Efesini (2,4-10) - «Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati. Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù. Per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene. Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo».
Vangelo secondo Giovanni (3,14-21) – “In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna». Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è gia stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio»”.
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Da ADISTA N. 23 - 25 Marzo 2006
ANNUNCIARE UN VANGELO DI GIUSTIZIA E LIBERAZIONE: L'IMPEGNO DELLE CHIESE CALABRE ALLA SETTIMANA SOCIALE
33287. VIBO VALENTIA-ADISTA. - "Scrutare" e "interpretare" i segni dei tempi per "rispondere", con la radicalità che è propria del Vangelo, ad una realtà sociale che interpella anche la Chiesa. Questo è stato il senso e l'obiettivo della Settimana Sociale delle Chiese di Calabria che si è svolta al Lido degli Aranci di Vibo Valentia lo scorso 3-5 marzo: vescovi e delegati laici provenienti dalle 12 diocesi calabresi per 3 giorni si sono confrontati sulle urgenze dei loro territori per tracciare collettivamente il cammino dei prossimi anni. Il quadro emerso è quello di una regione ricca di risorse, ma appesantita da gravi problemi ‘primo fra tutti quello della presenza di una criminalità mafiosa organizzata che si delinea come vera e propria "struttura di peccato"’; di una Chiesa desiderosa di fare autocritica e di ‘uscire dalla sacrestia' per collaborare alla costruzione di una autentica democrazia partecipata, e di un laicato che intende conquistare autonomia e diventare protagonista del cambiamento dal basso.
"Penso che la situazione potrà cambiare esclusivamente se non soltanto lo Stato farà la sua parte e sarà presente - dice mons. Vittorio Mondello, presidente della Conferenza episcopale calabra e arcivescovo di Reggio Calabria, aprendo la Settimana - ma se noi calabresi prenderemo in mano i problemi di questa terra, portandoli personalmente e comunitariamente a soluzione". Un invito alla partecipazione condiviso e ribadito da Piero Fantozzi, docente di Sociologia all'Università della Calabria, che chiama in causa anche le responsabilità della Chiesa: "Di fronte ai gravi fenomeni di disuguaglianza e criminalità, non dobbiamo insegnare agli altri cosa fare, ma dobbiamo partecipare alla costruzione della società; non dobbiamo solo prendere posizione, ma dobbiamo partecipare tutti attivamente ai processi di coesione" e di "reintegrazione sociale". "La speranza si costruisce iniziando a camminare, evidenziando gli elementi comuni a tutti i cristiani e soprattutto rafforzando la coerenza e la credibilità della propria testimonianza individuale e comunitaria". A partire dalla "denuncia delle ingiustizie" e dall' "annuncio del Vangelo della liberazione", spiega Vito Teti, docente di Etnologia all'Università della Calabria: una denuncia che non sia "sterile lamentazione", ma che "abbia come fine il cambiamento".
Denunciare le ingiustizie in Calabria significa soprattutto schierarsi contro la ‘ndrangheta, le massonerie deviate, il clientelismo e la corruzione, "strutture di peccato" che strangolano i corpi e soffocano le coscienze: "violenze occulte e trame oscure che arrivano a progettare e realizzare la sottomissione dell'altro, lo spadroneggiare sulle risorse (usura e strozzinaggio), il taglieggiamento delle attività produttive (‘pizzo’ e tangenti), il controllo mafioso del territorio e di ogni genere di risorsa (incluso lo smaltimento dei rifiuti)", spiega il teologo don Giovanni Mazzillo, che chiede alla Chiesa di uscire allo scoperto, imparando "la lezione dei giovani di Locri" ("e adesso ammazzateci tutti", v. Adista n. 75/05), e di assumere come "finalità prioritaria del suo operare e del suo essere" l'impegno per "la legalità" e "la giustizia". La Chiesa "non può restare cieca di fronte alle situazioni torbide che innervano singoli e istituzioni e che irretiscono privati cittadini e personaggi politici. Gli uomini e le donne di Chiesa non possono e non debbono assolutamente tollerare l'incultura malsana dell'intrigo, delle situazioni ambigue, peggio ancora della mafia e della delinquenza organizzata", che spesso si inserisce e vive all'interno della stessa comunità ecclesiale colpevolmente silente (tante manifestazioni e riti della religiosità popolare, nota Teti, hanno come protagonisti "uomini della criminalità organizzata in cerca di visibilità e che finiscono con l'inquinare le forme della devozione popolare"). "Dobbiamo liberare - aggiunge Mazzillo - una certa religiosità ancora immatura e talora masochista, che considera Dio più come padrone che come padre, e la vita umana sulla terra più come punizione da scontare che come missione da vivere".
L'assemblea generale dei delegati, su proposta degli 8 gruppi di lavoro, individua tre percorsi che dovranno segnare il cammino della Chiesa calabrese nel prossimo futuro: la formazione dei laici e delle associazioni alla dimensione socio-politica, e dei sacerdoti ai principi della Dottrina sociale della Chiesa (a tale proposito va segnalata la pubblicazione degli atti del I Convegno regionale dei seminaristi della Calabria - "La formazione umana, fondamento dell'intera formazione sacerdotale" - con interessanti interventi sui temi della formazione, dell'affettività, della sessualità, della responsabilità e della libertà); il lavoro di rete tra le associazioni ecclesiali, la società civile, gli enti e le istituzioni; la dimensione progettuale della Chiesa, puntando al recupero dell'unitarietà delle pastorali. Al centro il laicato e la riscoperta della "vocazione laicale" che non ammette sconti sulla radicalità evangelica: "non si può essere laici cristiani in Calabria senza essere considerati un'anomalia scomoda di questo sistema, senza scoprire e combattere queste strutture di peccato - dice Vincenzo Linarello, presidente del consorzio di cooperative sociali calabresi Goel. -. Se non siamo così considerati spesso è perché non abbiamo ancora detto sì alla nostra vocazione di cristiani laici, magari perché le logiche del mondo ci hanno ‘integrati’, o magari perché ancora non abbiamo messo mano all'aratro, o magari perché ormai ci siamo rassegnati al destino". (luca kocci)
IL VESCOVO BREGANTINI ALLA SETTIMANA SOCIALE: LA ‘NDRANGHETA, "STRUTTURA DI PECCATO" DA COMBATTERE
33288. VIBO VALENTIA-ADISTA. - Elaborare una "strategia spirituale e pastorale" per condurre la lotta alla mafia e alla ‘ndrangheta: deve essere questa la priorità assoluta per la Chiesa calabra secondo il vescovo di Locri, mons. Giancarlo Bregantini, che ha tenuto l'intervento conclusivo alla Settimana Sociale delle Chiese di Calabria.
"Non ci può essere fede senza storia, religiosità senza etica, contemplazione senza azione", dice mons. Bregantini che punta dritto a quella che ritiene essere la principale causa della "fragilità" della Calabria: la mafia, "una terribile struttura di peccato, che non va mai nascosta né tanto meno mitizzata, ma va ben conosciuta e soprattutto affrontata con intelligenza e saggezza", con una "strategia spirituale e pastorale appropriata", capace di superare "la responsabilità personale" e di entrare "in una dimensione etica d'insieme, che richiede da noi tutti un attivo e metodico discernimento comunitario. Il peccato sociale, infatti, spesso oscura la nostra consapevolezza e quindi impedisce la nostra corresponsabilità attiva. Per questo anche la nostra risposta pastorale deve essere adeguata e incisiva, oltre che intelligente ed organizzata".
La sfida della mafia, secondo il vescovo di Locri, "può risultare una sfida a un eroismo evangelico che cambia la nostra vita di cristiani e ci rende tutti testimoni di luce e di coraggio. Dipende da noi": ci si può adeguare, oppure si può scegliere di affrontare il male. Una condizione che riguarda sia i preti che i laici, entrambi "chiamati ad una vita eroica, in terra di Calabria, proprio perché tutti sfidati dal male che ci circonda. Ed allora nascerà una nuova Chiesa, capace di testimoni e di martiri, proprio perché ha saputo trasformare le pietre da sasso di inciampo a pietra d'angolo".
L'eroismo predicato da mons. Bregantini è soprattutto quello dell'"homo civicus": l'impegno sociale e politico nel quotidiano e nel proprio territorio. Per questo, aggiunge (sottolineando così una delle proposte formulate dai delegati delle diocesi presenti alla Settimana Sociale), "è ancora più importante mantenere e custodire in termini di qualità le nostre scuole di formazione all'impegno politico che abbiamo nelle diocesi, motivandole su criteri evangelici decisivi ed insieme capaci di leggere con chiarezza il proprio territorio e le ansie della gente che vive in esso". Esattamente il contrario di quello che sta accadendo in queste ultime settimane di campagna elettorale, per colpa della nuova legge elettorale approvata in fretta e furia dal centro-destra: una legge che, secondo mons. Bregantini, "spacca il legame con il territorio" e che invita il politico "a guardare soprattutto ai palazzi romani e non alle realtà locali della propria terra", a cercare "il placet in alto e non il legame con la gente, dimenticandone i drammi e le angosce. Più spinto al consenso che all'eroismo".
Riconoscere le proprie responsabilità, rompere le collusioni con il potere e schierarsi dalla parte degli ultimi è il compito della Chiesa secondo il vescovo di Locri: occorre "avere il coraggio di una purificazione leale ed onesta, che assuma ed evidenzi tutte le nostre responsabilità di Chiesa nel degrado etico di questa terra bellissima, a noi affidata, per vedere e riconoscere tutte quelle volte che abbiamo violato quel giardino che Dio ci ha dato da custodire per la crescita di tutti". "Se saremo chiari, avremo di certo meno discepoli per numero, ma più intensi per qualità. I potenti ci loderanno, ma poi comprenderanno che non siamo dalla loro parte, ma dalla parte della gente che non ha potere, cioè dalla parte degli umili e dei poveri. Veramente. E saranno loro, i poveri, se saremo coerenti fino in fondo, senza venderci per un piatto di lenticchie, a darci il premio, nella logica evangelica". (l. k.)