MONDO - Medio Oriente. La guerra, il Libano e le sue storiche contraddizioni in questo articolo tratto da L'Orient le jour (Élie Fayad)*
"Ci risiamo, l’albero israeliano nasconde la foresta libanese, quando non è quello siriano, l’iraniano, o l’americano!
No, non c’è alcuna maledizione che perseguita questo nostro Paese! La nostra è semplicemente una piaga aperta che rifiutiamo di vedere, di affrontare, di guarire. E se succede talvolta che la vediamo, siamo pronti ad inventarci qualsiasi scusa pur di dissimularla… fino al prossimo disastro.
E' giunta l'ora, si dice, non del regolamento dei conti, ma dell’unità nazionale!
E così bella, infatti, questa unità nazionale, all’ombra della quale tutto il mondo dice ciò che non pensa e pensa ciò che non dice!
E’ magnifica, questa unità, con una parte dei libanesi che si augura la vittoria del tandem iraniano-siriano e l’altra la sua disfatta!
E’ sublime, questa unità, quando una comunità tutta intera viene chiusa a chiave e sequestrata a beneficio degli interessi di una potenza straniera!
Quando un partito politico, che si dice ancora libanese, si presta a sacrificare fino all’ultimo dei suoi compatrioti, a rovinare un paese perché una repubblica (accalorata) possa godere di un arsenale nucleare ed esercitare la sua egemonia sul mondo islamico!
D’altronde, su questo piano, e malgrado una frequentazione di più di mezzo secolo, Israele appare sempre molto mal informato degli usi e costumi dei tiranni della regione. Come Saddam poco fa, come gli Assad padre e figlio, come il Kadhafi di una vita precedente, come la furiosa pazzia dell’11 settembre, il predatore di Teheran se ne sbatte di Gerusalemme e della Palestina come farebbe di una qualsiasi sciacquetta. Se vuole dei confetti atomici, è per puntarli sui suoi “fratelli”, non sui suoi “cugini”! Tutto questo a quasi quarant’anni da quando, in Libano, le stesse cause hanno prodotto esattamente gli stesi effetti. Quarant’anni durante i quali lo Stato libanese continua sistematicamente a rinunciare non al suo diritto, ma al suo dovere imperativo di esercizio della sovranità sull’intero territorio.
Troppe persone hanno pagato questa rinuncia con la loro vita, i loro beni, i loro affetti, perché si continua a tacere e a lasciare fare.
Tra una, due, tre o quattro settimane, la comunità internazionale finirà per imporre un cessate il fuoco. Tornerà la calma. Ma per quanto tempo? Fino a quando si potrà permettere a quelli che hanno bloccato il treno di bloccarlo ad ogni fermata?
Fino a quando verrà agitato lo spettro della guerra civile per giustificare le peggiori vigliaccherie? Fino a quando si farà credere che anche le nozioni più elementari, che la sovranità e il monopolio della forza possano essere l’oggetto di un “dialogo”?
Che delle formazioni politiche abbiano punti di vista diversi sulla strategia difensiva della nazione è perfettamente legittimo e normale. Che discutano tra loro per trovare un terreno d’intesa è un vantaggio. Ma dopo quarant’anni di un’amara esperienza, chiunque cerchi ancora di sostituirsi allo Stato, quali che siano le sue motivazioni, commette un crimine ignominioso. E chiunque ceda alla vigliaccheria di non denunciarlo commette lo stesso crimine.
Lo Stato, il governo sono impotenti, pare. Bella scusa! Perché allora si continuano a spendere tante parole su un’amministrazione, un esercito e una giustizia? Perché i quaranta miliardi di debiti? Perché aver fatto “Taef”? Perché il 14 marzo?
Il problema del Libano non è né israeliano, né siriano, né iraniano. E’ esclusivamente libanese. E la sua soluzione sarà esclusivamente libanese. O non sarà!
* editorialista de L'Orient Le Jour. Questo fondo è stato pubblicato ieri su uno dei principali quotidiani libanesi.
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