A volte sembrano soltanto gesti poco appariscenti, semplici, quasi impercettibili e banali. Ma è proprio lì che si verificano le svolte epocali che segnano passaggi storici destinati a rimanere scolpiti nella memoria individuale e collettiva, nella storia umana. Non mi sembra di esagerare se ascrivo le vicende alle quali abbiamo avuto il privilegio di assistere nell'ultimo mese, a questo tipo di categoria.
Prima le improvvise ed inattese dimissioni di Benedetto XVI e adesso l'elezione a papa della Chiesa cattolica del primate argentino Jorge Mario Bergoglio, sembra abbiano impresso un'accelerazione davvero eccezionale agli eventi aprendo gli orizzonti futuri ad una prospettiva del tutto inattesa e imprevista anche agli occhi dei più navigati esperti di cose vaticane e di scenari internazionali. Certamente i due protagonisti, uno ormai Papa emerito e il secondo papa Francesco, a prima vista sembrerebbero così distanti caratterialmente e per formazione umana e culturale, e invece nell'ultimo mese abbiamo scoperto l'esistenza di una linea comune che li unisce: la grande umiltà e umanità che li ha portati a compiere gesti della cui portata forse non ci siamo ancora resi conto. Un papa Ratzinger che si dimette confessando candidamente e con grandissima dignità di non avere più le forze per continuare a tenere dritta la barra della Chiesa universale, che si ritira in preghiera e nel silenzio, dopo aver preso commiato dalla folla della piazzetta di Castelgandolfo con un semplice "buonanotte".
Dall'altra il suo successore, Francesco, che appare al balcone della basilica di San Pietro in tutto il suo candore interiore ed esteriore e, contro ogni protocollo e cerimoniale, saluta la folla con un altrettanto semplice "buonasera", che prima di impartire la propria benedizione papale chiede lui la preghiera e la benedizione del popolo. Gesti di una straordinarietà disarmante che si sono ripetuti nella serata di ieri, quando papa Francesco ha voluto viaggiare insieme agli altri cardinali, rifiutando la macchina diplomatica riservata a lui e che oggi sono proseguiti durante la celebrazione della messa nella Cappella Sistina, quando durante l'omelia pronunciata a braccio in italiano, non in latino, ha usato parole chiarissime che possono essere lette come un autentico discorso programmatico di quello che dovrà essere il suo pontificato.
Innanzitutto il tema del "viaggio" e del "servizio", contro ogni forma di mondanità e chiusura al mondo. "Camminare, edificare-costruire, confessare. Ma la cosa non è così facile, perché nel camminare, nel costruire, nel confessare delle volte ci sono scosse, ci sono movimenti che non sono proprio movimenti del cammino: sono movimenti che ci tirano indietro". Insomma, un papa che ci ha colpito per la semplicità dei suoi gesti e del suo sorriso, ma anche per la determinazione con la quale sembra voglia orientarsi ed orientare tutto il mondo cattolico, e non solo. Infine, ma per niente secondario, il nome che ha scelto di darsi: Francesco. È la prima volta che un papa ha deciso di chiamarsi così. Scelta non meno coraggiosa ed impegnativa, ma che di per sé rappresenta un segnale fortissimo di cambiamento radicale nella direzione di un autentico spirito evangelico sul quale improntare le relazioni umane all'interno della Chiesa e nel mondo, a tutte le latitudini. Un papa latino-americano, figlio di emigranti piemontesi, emblema della storia del mondo in cui viviamo, segnato da divisioni e ferite profonde che potranno essere curate soltanto se ci sarà una svolta nelle relazioni umane a tutti i livelli.
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