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Sei in /Italia/2013/Domande al Ministro dell'Istruzione

Sull'opportunità di aprire un confronto sugli investimenti per il futuro della scuola, dell'università e del paese

di Maurizio Matteucci*

ITALIASCUOLA - Per un ministro dell'istruzione sarebbe così difficile chiedere che l'1% delle spese militari fosse spostato, per 10 anni, alla ricerca e all'istruzione? Dieci domande, retoriche e non, da rivolgere al ministro, sull'opportunità di aprire un confronto sugli investimenti per il futuro della scuola, dell'università e del paese.

Le dieci domande che rivolgiamo al ministro Carrozza hanno ovviamente carattere sfidante, la maggior parte sono domande retoriche, la cui risposta è scontata.

Allora a noi piacerebbe sapere, in estrema sintesi, se siamo incamminati sulla continuità del non dialogo con le forze vive dell'accademia - come è avvenuto per il passato ed al massimo con la Gelmini - o se si possa aprire uno spiraglio di confronto.

Ammetto che non sono riuscito a capire quanto l'Italia spende per spese militari. Parafrasando Aristotele, mi vien da dire che: come l'essere, anche i bilanci si dicono in molti modi.
Lungi da me riprendere il solito tema, confessiamolo, un po' demagogico, degli F35. Ma il punto è un altro: al di là delle spese eccezionali, come per gli F35, noi spendiamo per la difesa una cifra non confrontabile rispetto a quella stanziata per la ricerca.
Allora il punto è: nel nostro futuro prossimo venturo che cosa si profila all'orizzonte? Ci stiamo preparando a qualche guerra, o vogliamo spingere sul mondo dell'istruzione, della scuola, della ricerca?

I numeri, impietosi, parlano chiaramente a favore della prima ipotesi. Abbiamo veramente bisogno di otto milioni di baionette?
Sarebbe così difficile, per un ministro avveduto, chiedere che l'1%, dico l'1%, fosse spostato, ogni anno e per un decennio, dalle spese militari alla ricerca?
O dobbiamo vincere qualche guerra, di cui al popolo bue non è data notizia?

Noi viviamo in una società post-industriale. Viene in mente la decadenza dell'Impero Romano: di fare la guerra, oggi, il popolo "sovrano" non ha alcuna voglia, alcuna propensione, alcun interesse; anche quando le guerre sono mascherate da "'peace keeping', or something like that".
Siamo una piccola potenza ridicola, tollerata appena da chi tiene in mano la cloche, gli USA; e solo gli inglesi e i francesi ambiscono a una visibilità di facciata: medie potenze che Obama potrebbe benissimo snobbare, se non per risparmiare qualche quattrino e ostentare alleanze anziché imperialismo. Diciamoci la verità, torna il conto di salvare il loro orgoglio, derivante dalla vittoria nella seconda guerra mondiale.

E noi? Qui si passa dal patetico al ridicolo.
Eppure, guai a toccare i privilegi dei militari, che sarebbe facile dimostrare essere incomparabili con quelli dei professori.

Ma allora, siamo un paese di guerrafondai o di imbecilli?

Forse qualcuno sarà sfiorato dal dubbio che noi dovremmo autocomprenderci come il paese di Dante, di Leonardo, di Galileo, e non quello dei Lamarmora, dei Badoglio, dei Graziani e dei Ramorino.

Che futuro vogliamo immaginare per i nostri figli?
Dobbiamo addestrarli a una ipotetica guerra con San Marino (non ce l'ho con loro, ma mi pare siano gli unici con cui abbiamo qualche chance), o magari fargli studiare un po' di chimica in più? O vogliamo sperare che un'ora nuova si manifesti sui colli fatati di Roma?

L'impero romano ci mise mezzo millennio a disfarsi; e il succo era semplice e prevedibile: nessuno, con la pancia piena, aveva alcuna intenzione di rischiare la vita per difendere l'orticello di casa.
Noi siamo forse ancora più in là. Manteniamo pure una pletora di colonnelli che fanno la guerra sui simulatori software, così stanno buoni. Quale sia il loro sapere è facilmente immaginabile.

Se è questo il nostro futuro, benissimo. Gli italiani, con la pancia piena, almeno per una parte cospicua della popolazione, sono pronti e motivati.
Ma di fare la guerra non ci pensano neanche. E questo è un male, visto l'orientamento dei nostri geniali politici. La scelta è fra essere carne o pesce; ma è pesce andato a male...

* Pubblicato su Education 2.0 del 22/11/2013

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02/12/2013
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