ANNIVERSARI - Il 28 dicembre 1908 il territorio di Reggio Calabria e di Messina fu, com'è noto, investito da un terremoto di notevole intensità, che rappresentò la maggiore catastrofe nel Mediterraneo del Novecento. La sua carica di devastazione e morte distrusse città e paesi (le due città sullo Stretto quasi completamente rase al suolo), decine di migliaia di vite umane (il numero esatto non fu mai calcolato con esattezza, ma si parlò di 120.000 vittime), nuclei familiari ed esistenze individuali furono sconvolti in maniera radicale e la storia della società meridionale fu segnata in maniera irreversibile. E' perfettamente comprensibile, dunque, che il centenario di tale evento sia stato occasione di numerose iniziative intellettuali e politico-culturale, alcune delle quali di ottimo livello. Gli enti locali, dalla Regione alle Province sono state destinatarie di numerosissimi progetti di ricerca, ma alla maggior parte di essi non è stata data alcuna risposta, segno di una notevole sordità istituzionale.
L'evento sismico nel suo inatteso verificarsi precipitò le popolazioni del Reggino, del suo interland e di Messina in una condizione di morte e di paralizzato stupore che cronisti dell'epoca notarono con precisione; significativamente si parlò di anestesia psichica, quale loro condizione prevalente (Barzini). Il terremoto del 1908, anche per le tragiche dimensioni dell'evento, provocò una gara internazionale di solidarietà. Dai russi agli inglesi, primi soccorritori anche perché impegnati in manovre militari nel mediterraneo, agli svizzeri, agli abitanti di altre nazioni europee, come quelli delle diverse regioni italiane, si svolse, sin dai primi giorni, una serie di azioni di soccorso, di tentativi generosi, sino al sacrificio di salvare quante più vite fosse possibile, evitando anche che le azioni di sciacallaggio, pur poste in essere, avessero libero corso.
In tutto questo i militari furono sostenuti anche dall'impegno di tanti volontari colpiti dalla desolazione abbattutasi sugli abitanti di queste contrade. Anche le offerte che giunsero copiose da ogni parte contribuirono a rendere concreta la dimensione della solidarietà. Il terremoto, dunque, quale evidenziatore, oltre che di una tragica emergenza, di una situazione economico-sociale, culturale, esistenziale di intensa drammaticità. Realtà emarginate, prevalentemente sconosciute balzarono così alla ribalta; conquistata, con un tributo di sangue così elevato, la prima pagina dei giornali, non si poteva più ignorarle, fare come se non esistessero attuando una strategia dell'indifferenza e della dimenticanza sino ad allora, del resto, attivamente operante. Lo stesso vale per il Governo che, non brillava certo per attenzione meridionalista, non differenziandosi in questo, dagli altri governi che, pur con modalità estremamente differenziate, si sono succeduti nel nostro Paese. La sordità di Giolitti alle richieste di soccorso e alle proteste degli amministratori locali (Il presidente del Consiglio, giunse a chiedere al prefetto di Reggio Calabria di mettere a posto, redarguendoli, sindaci di centri calabresi che in telegrammi inviatigli a Roma, avevano denunciato la mancata reazione alle loro drammatiche e veritiere denunce).
Anche i provvedimenti giolittiani e le operazioni ufficiali di soccorso erano sostanzialmente rivolti più a tutelare i beni (quali il tesoro della Banca d'Italia) che a tentare di salvare quante più vittime possibili; a un certo punto si ordinò di sospendere tali tentativi e su ogni cosa calò il cemento, mai come in questo caso definitiva lastra tombale. Le proteste dei sindaci sono emblematiche anche di un'altra realtà, loro intensi evidenziatori: quelli del disagio degli amministratori periferici, costretti in una difficile e sgradita posizione mediana tra le comunità locali, di cui comunque erano organica parte oltre che rappresentanti istituzionali, e il potere centrale, così spesso ottuso e sordo alle legittime richieste e aspettative delle popolazioni. E' un disagio che attraversa la storia del Mezzogiorno e che si insinua nelle sue pieghe, restando quasi sempre latente. Tale disagio, in occasione di eventi traumatici - e quale trauma socio-culturale maggiore del terremoto - emerge nettamente, costituendosi di fatto come fattore di contrasto nei confronti degli organi dello Stato centralisticamente orientati.
Tutto ciò è particolarmente evidente nel sisma del dicembre 1908, ma può essere riferito anche agli altri terremoti che hanno funestato con tragica frequenza la nostra regione. A mero titolo esemplificativo, quello del 5 settembre 1905, che si abbatté particolarmente nel vibonese, è emersa nei sopravvissuti una condizione assimilabile a quella ebetudine stuporosa individuata da Ernesto de Martino nei familiari colpiti da un evento luttuoso, dalla quale emergono mercè la strategia del cordoglio, in particolare attraverso il lamento funebre che consente loro di attuare l'ethos del trascendimento. La funzione di evidenziatore e di tale ebetudine stuporosa e della relativa indifferenza di molti sopravvissuti nei confronti delle vittime rimaste sotto le macerie è stata rilevata da Raffaele Lombardi Satriani, nella sua notevolissima opera "La bontà d'un re e la sventura d'un popolo", nella quale ci vengono restituiti dall'interno quella tragica vicenda e il clima culturale e politico vissuto dai protagonisti di essi.
Costituisce un tratto costante delle catastrofi naturali la funzione del terremoto quale cartina di tornasole di una condizione umana, segnata irreversibilmente dall'insicurezza, dalla precarietà, dalla possibilità continuamente incombente dello scacco. Contro tale minaccia gli uomini elaborano strategie culturali di difesa, griglie di sopravvivenza contro il pericolo della nullificazione. Il terremoto, come qualsiasi altra catastrofe, può travolgere tali dighe culturali, annientare tali griglie. Esso, con la sua gigantesca potenza devastatrice, si abbatte anche su questa costruzione culturale, sospendendone, almeno temporaneamente la vigenza. Occorrerà allora mettere in opera meccanismi che agevolino la reintegrazione culturale consentendo il pieno reinserimento dei protagonisti nel piano del padroneggiamento della realtà.
Tale processo, che ho avuto modo di constatare direttamente nel terremoto del 1968 in Sicilia e in quello del 1981 in Basilicata, è stato analizzato approfonditamente dalla letteratura antropologica e a essa ci si può rivolgere per eventuali approfondimenti problematici. Gli esempi potrebbero continuare a lungo e potrebbero essere attinti dalle catastrofi più lontane nel tempo e da quelle più recenti abbattutesi dalla nostra terra “ballerina” sistematicamente oggetto di incuria e di devastazione. Né certo può essere in alcun modo auspicabile che avvengano in alcun modo catastrofi perché in tal modo venga segnalato al “mondo” una condizione per lo più ignorata. Tragico paradosso di una storia che si auspica possa al più presto concludersi.
La realtà sociale, culturale, umana, segnalata dal terremoto del 1908 spinse intellettuali e riformatori sociali a un concreto impegno per il suo concreto riscatto su ogni piano. Per limitarci a un solo esempio anche se particolarmente significativo, Umberto Zanotti Bianco uscito non ancora ventenne dal Collegio di Moncalieri, prese parte all'opera del comitato vicentino e l'incontro con tale realtà fu talmente importante che vi ritornò nell'estate del 1909 con Giovanni Malvezzi per svolgere un'inchiesta su 38 Comuni dell'Aspromonte occidentale. Inizia così una lunga stagione caratterizzata da un profondo impegno riformatore e da un'intensa attività scientifica che lo porta a realizzare inchieste sulla malaria, su Africo, sul martirio della scuola in Calabria. Su Umberto Zanotti Bianco avremo modo di ritornare in questa rubrica; sia sufficiente qui averlo ricordato tra quanti accorsero in Calabria per il terremoto del 28 dicembre 1908 e come da questo tragico evento egli abbia preso le mosse per la sua lunga e multiforme attività, densa di realizzazioni concrete e di acquisizioni scientifiche che lo resero di fatto un eroe del meridionalismo.
Anche se occorre ricordare, brechtianamente: “Beata quella terra che non ha bisogno di eroi”.
Fonte: Il Quotidiano della Calabria (Luigi M. Lombardi Satriani) - 7 gennaio 2008