Pubblichiamo la relazione tenuta dal prof. Enrico Esposito il primo febbraio scorso presso la Biblioteca nazionale di Cosenza e dedicata alla Giornata della memoria, con particolare riferimento alla storia dei cosentini morti nei lager nazisti. Con questo intervento Enrico Esposito inizia la sua collaborazione con il nostro sito. Lo salutiamo e lo ringraziamo per la disponibilità e per l'alto contributo che egli saprà fornire per sviluppare stimolanti spunti di dibattito, di approfondimenti culturali e per la crescita di una coscienza democratica e pluralista.
COSENTINI NEI LAGER -
1 – Per la storia dei cosentini morti nei lager nazisti è indispensabile ricorrere alla dettagliata ricerca di Isolo Sangineto, primo presidente dell’Istituto per la Storia dell’Antifascismo Calabrese e dell’Italia Contemporanea, dal titolo I Calabresi nella Guerra di Liberazione - I partigiani della provincia di Cosenza, edita nel 1992 presso Luigi Pellegrini. Così come è irrinunciabile riferirsi a studi come quello di Leonardo Falbo, Fascismo e antifascismo in Calabria – Il caso di Rogliano, pubblicato nel 1995, da Edizioni Orizzonti Meridionali, sempre per conto dell’ICSAIC, e a un quaderno dello stesso istituto, curato dal compianto Tobia Cornacchioli, dal titolo Filippo Martire – Democrazia e socialismo nella Cosenza del Novecento, edito nel 2002. Si può così delineare un quadro sufficiente delle condizioni disumane in cui sono stati costretti a marcire, ma ulteriori auspicabili ricerche potrebbero apportare nuovi elementi.
Intanto in questa sede è necessario precisare che parliamo di militari originari della provincia di Cosenza, internati nei lager nazisti, che vanno spesso associati a deportati e internati civili, ebrei, testimoni di Geova, oppositori del nazismo e via dicendo. Si tratta prevalentemente di soldati caduti prigionieri dei tedeschi, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, mentre si trovavano in zone d’operazione, come i Balcani e la Grecia. Non ci si limiterà naturalmente a compilare un semplice elenco, ma si cercherà di ricostruire, per quanto è possibile, le indicibili atrocità, perpetrate dai nazisti, con la complicità dei fascisti, in spregio di tutte le convenzioni internazionali sui prigionieri di guerra.
2 - Almeno dieci cosentini sono morti nel lager di Zeithain in Sassonia. Questo campo era stato costruito dopo l’attacco sferrato dal Terzo Reich all’Unione Sovietica il 22 giugno del 1941. Era uno dei sessanta nuovi lager destinati ad accogliere fino a 30 mila prigionieri russi ciascuno. Nel progetto nazista dovevano essere dislocati nelle aree occupate della Polonia e della stessa Unione Sovietica e solo 14 erano stati previsti in Germania. Il lager di Zeithain era vicinissimo ad un campo di addestramento militare nei pressi della stazione militare di Jacobsthal, appartenente al quarto distretto militare della provincia di Sassonia. I lavori, iniziati già prima dell’attacco all’Unione Sovietica, e cioè nell’aprile del 1941, si protrassero fino al mese di luglio, quando arrivarono i primi prigionieri russi.
I pozzi d’acqua erano insufficienti e i prigionieri erano costretti a dissetarsi nelle pozzanghere. Da qui l’insorgere di malattie, come lo scorbuto e la dissenteria cronica, in soggetti già stremati da feroci combattimenti. Le condizioni igieniche, per la mancanza di un numero adeguato di latrine, peggiorarono la condizione dei prigionieri, tanto che scoppiarono epidemie di tifo e di tifo petecchiale. Morirono a migliaia i russi tra il dicembre del 1941 e marzo dell’anno dopo, quando il campo di Zeithain fu messo in quarantena. Erano oltre 10 mila gli internati all’inizio: ne sopravvissero solo 3 mila 729.
In questo inferno vennero a trovarsi i militari cosentini. Dopo l’8 settembre, arrivarono Zeithain interi reparti italiani, registrati nel lager come internati militari. Provenivano dai lazzaretti delle forze armate italiane operanti in Grecia e nei Balcani e con loro vennero deportati anche i medici e altro personale ausiliario. Nel lager di Zeithain venne creato un lazzaretto di 78 baracche, da cui erano stati fatti sgomberare i prigionieri sovietici. Il loro status era quello di prigionieri di guerra, ma le condizioni del campo, qui sommariamente ricordate, indussero i nostri militari internati a considerare Zeithain il “Campo della morte”.
In effetti la scarsità di cibo e la mancanza di medicinali provocarono innumerevoli casi di tubercolosi. Per di più arrivavano in quel campo numerosi altri malati da altri lazzaretti e distretti militari italiani, già affetti da tubercolosi, ma giudicati abili al lavoro. I morti italiani, circa 900, vennero sepolti prima nel cimitero di Neuburxdorf, a 15 chilometri da Zeithain e dal febbraio del 1944, per la maggior parte, e cioè 863, nel cimitero militare italiano di Jacobsthal, da dove poi vennero trasferiti in Italia a cura dell’esercito.
Ma veniamo ai cosentini. Il primo della lista, in ordine alfabetico, è Francesco Casella , di San Donato Ninea, dov’era nato nel 1914. Era un soldato della Divisione Acqui, che operò anche a Cefalonia. Catturato dai tedeschi morì a Zeithain nel febbraio del 1944. Della stessa divisione era stato catturato, a Cefalonia, e deportato nel campo della morte, in Sassonia, Mario Cataldo di Longobucco, che morì il 27 ottobre del 1944. A Zeithain mori anche Francesco De Luca di Cosenza, catturato in Grecia, e di cui si ignorano le date di nascita e di morte. Nello stesso lager morì di stenti e malattie, non si sa in che mese, ma probabilmente a fine 1944, Luigi De Rosis, nato a Spezzano Albanese nel 1923. Come Francesco Gagliano, nato a Serra Pedace il 14 febbraio del 1923. In Grecia venne catturato anche Serafino Gualano, di Cetraro, nato il 16 maggio del 1924. Morì a Zeithain, ma non si sa quando. Si ignora anche la data di morte di Giuseppe Luzzi, nato ad Acri il 22 gennaio del 1922 e deportato a Zeithain dalla Grecia, come Alfredo Maletta, nato a Colosimi l’11 novembre del 1922. Un altro combattente della Divisione Acqui, Mario Nardi di Appigliano, fu deportato da Corfù a Zeithain, dove mori il 18 ottobre del 1944. Troviamo infine Francesco Sposato, nato ad Acri il 22 aprile 1921, morto a Zeithain dopo essere stato deportato dalla Grecia.
Altri cosentini morirono in campi di concentramento di cui è impossibile, allo stato delle ricerche, indicare la collocazione geografica. Si sa solo che si trattava di lager in Germania e Polonia. Parliamo di Pietro Guadagnolo, caporale del 17esimo fanteria della Divisione Acqui, nato a Paterno il 24 novembre del 1919; dello stesso reggimento era Pasquale Pignataro, nato a Vaccarizzo Albanese l’8 marzo del 1922 e morto il 17 marzo del 1944. Al 18esimo fanteria dell’Acqui apparteneva invece Massimo Serri, nato il 3 ottobre del 1922 a Marano Marchesato, morto il 22 agosto 1944 in un campo polacco.
Ancora cosentini troviamo deceduti a Mathausen, considerato il più importante dei lager costruiti in Austria. Qui morì, dopo essere stato deportato, Geniale Bruni, nato ad Aiello Calabro il 5 febbraio del 1923. Era un partigiano della 143esima Brigata Garibaldi – Emilia Romagna, fino al 18 marzo 1945. Un altro partigiano, Carmelo Marziota, nato ad Orsomarso il 7 luglio 1924, venne catturato in Liguria e deportato a Mathausen, dove morì nel 1945. E a Mathausen morì anche Mario Martire, maggiore pilota, nato a Cosenza il 10 luglio del 1919. Venne arrestato dalle SS il 9 maggio del 1944. Da Venezia, dove era stato ospite della sorella, mentre stava per raggiungere la Puglia, una spia fascista, Carlo Aprile lo consegnò ai tedeschi. Con il capitano Martire vennero catturati altri 37 persone, che come l’aviatore cosentino avevano scelto la lotta partigiana. Vennero rinchiusi in Santa Maria Maggiore in attesa della deportazione. Per circa tre mesi Martire vide portar via tanti suoi compagni di cella, desinati alla fucilazione o alla deportazione nei “campi della morta”. E venne anche per lui l’ora della partenza. Era ufficiale di collegamento della resistenza veneziana e a lui era riservato un trattamento speciale. Fu deportato a Mathausen, dove fu sottoposto a tutti i soprusi e le angherie di quel tridente famoso lager. Infine il 17 febbraio 1945, narra un sopravvissuto, si aggirava per il campo ridotto ormai ad no scheletro. Invocava la morte e la morte sopraggiunse spietata. Fu portata nell’infermeria, come i tedeschi chiamavano una baracca che invece era un vero e proprio carnaio. Dopo qualche ora il suo cadavere venne inghiottio dal forno crematorio. La spia fascista venne intanto catturata a Venezia. Fu condannata a morte, ma poi la pena fu amnistiata. Di Mario Martire resta una nobile lettera ai sui familiari del 30 aprile 1944, nove giorni prima cioè della sua cattura. La lettera è riportata nello scritto del fratello Filippo, composto subito dopo la guerra con il titolo Nostra gente eroica: Mario Martire. La si può leggere nel Quaderno dedicato a Filippo Martire dal nostro Istituto, a pagina 35.
A Mathausen morì anche Carmelo Marziota, nato ad Orsomarso il 7 luglio 1924. Aveva aderito anche lui alla Resistenza, ma venne arrestato in Liguria il 27 marzo del 1945.
Nelle miniere della Westfalia morì invece il primo maggio del 1944 Mario Mazzei, nato a Rogliano il 14 settembre 1923. Riuscì invece a sfuggire alla morte Domenico Rota, anch’egli di Rogliano. Al momento dell’armistizio si trovava in Francia, ha narrato lo stesso Rota, e per evitare di trasportare munizioni in Normandia, sabotò l’automezzo, versando pasta smeriglio nel serbatoio dell’olio. Catturato e portato in Germania, venne processato a Offenburg. Venne poi deportato a nel campo di Butuschinchen e condannato a 18 anni di lavoro fronzato a Mathausen. In un’intervista ad un foglio locale narrò poi di aver visto gli ebrei partire s dei camion. Dei forni riuscì a vedere solo l’esterno, ma – disse – sapevano tutti a che cosa servivano. “Il mio capoforno” aggiunse “ un giorno, mentre ingrassavo gli ingranaggi meccanici del forno, mi disse: Metti, metti questo grasso, è grasso umano e ne abbiamo tanto”.
La ricerca, come si diceva all’inizio,continua.
Enrico Esposito - Cosenza, Biblioteca Nazionale, 01 febbraio 2007 - Circoli Fidapa e Soroptimist.