Nelle tante piazze è sfilata l’Italia migliore. L’Italia delle persone perbene, che vivono di onesto lavoro, fuori dal sudiciume delle cricche affaristiche che della cosa pubblica fanno mercimonio. L’Italia del lavoro, della dignità, dell’onestà. Quell’Italia che l’articolo 1 della Costituzione pone a fondamento e fine: L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro.
Il nesso inscindibile tra Nazione, Repubblica, Lavoro è la testa del patto sociale. Perché attraverso il lavoro si afferma il diritto all’emancipazione di ciascuno per costruire una società di liberi e di eguali. Una società che ognuno col lavoro e nel lavoro crea, struttura, migliora.
Promozione individuale e sociale sono interdipendenti e sono il collante della democrazia. Un principio che il sistema attuale di precarietà generalizzata e incentivata rende un miraggio, ma di cui sanno bene l’importanza i cittadini che hanno riempito le tante piazze e cortei dello sciopero generale. Contro le caste, contro i privilegi, per la dignità del lavoro.
Il 6 settembre si è dato voce all’Italia migliore, che vuole contribuire ad uscire dalla crisi, ma non affogare nella precarietà di esistenze fatte di ricatto economico e morale.
Liberi dal bisogno, liberi di pensare, liberi di autodeterminarsi. Storie diverse, volti diversi. In un abbraccio plurigenerazionale ha manifestato la grande unitaria piazza di chi vuole tenere la testa alta. Non vuole una società di servi e di vassalli. E per questo difende innanzitutto quel primo articolo della Costituzione, L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Perché fuori del diritto per ciascuno di trarre sicurezza dal proprio lavoro, non c’è libertà, democrazia, giustizia.
Come aveva già compreso il non certo rivoluzionario Hegel, il lavoro consente a ciascuno di uscire dall’indifferenziato servaggio, dallo stato di “cosalità”: oggetto e strumento che il padrone usa e consuma. Il suo allievo, Karl Marx, avrebbe fatto del lavoro e della consapevolezza della funzione sociale del lavoro il punto di partenza per il cambiamento radicale della società.
Non è un’altra storia!
Maria Mantello
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