di Tania Paolino
VERBICARO - Il termine "verbicarismo" non è stato coniato a caso. Esso indica quell' "atteggiamento rivoltoso e violento", che si manifestò nel paesino montano nel 1911, dopo una terribile epidemia di colera. Da allora sono passati molti anni, tanti problemi sono stati nel frattempo risolti, altri rimangono a quanto pare endemici. Tra questi, la disoccupazione. Ieri come oggi, però, a Verbicaro ci si ribella, si rivendica, si individuano i probabili responsabili, si fa gioco di squadra e si scende in strada a manifestare il proprio dissenso e la propria rabbia. Non perchè il verbicarese sia un tipo antropologico sui generis, ma perchè la storia ha insegnato qui più che altrove che, se si china la schiena insieme con la testa, si rischia di prendere pedate ammantate di promesse.
Il parallelismo tra i fatti di ieri e questi ultimi esige però un breve excursus. Nel 1911 ricorreva il cinquantesimo anniversario dell'unificazione nazionale. Il colera, esploso con particolare veemenza, dimostrava tuttavia quanta strada ancora c'era da percorrere nel sud Italia prima di conquistare una parità reale con il resto della penisola. Anche in questa occasione dai meridionali l'epidemia venne interpretata come il tradimento di un'istituzione a danno del popolo: si gridò all'untore, rappresentato dagli amministratori che avevano buttato nel pozzo a purivireddha e avvelenato l'acqua. L'ignoranza e l'arretratezza facevano la loro parte, ma la diffidenza e la delusione avevano certamente vinto. Il giornalista del Corriere della sera che si occupò del fatto di cronaca collocò Verbicaro in pieno Medioevo: in effetti, la ricerca del capro espiatorio aveva le sembianze di una caccia alle streghe, di ataviche superstizioni che in parte continuano a sopravvivere. Ma la rivolta che ne seguì va spiegata ulteriormente con l'arretratezza economica e la sudditanza politica cui il paese altotirrenico era stato tenuto anche dopo l'unificazione.
Ironia della sorte, una nuova ribellione, quella dei disoccupati e degli inoccupati verbicaresi, si ha oggi, nel centocinquantesimo anniversario del Regno d'Italia. Cosa è cambiato in un secolo a Verbicaro, nel sud Italia? Strutturalmente parlando, molto molto poco. La penisola appare ancora divisa in due, mancano reali politiche di sviluppo per il Mezzogiorno, nelle classi dirigenti che si sono avvicendate nei decenni, sia in quelle centrali che in quelle periferiche, si ravvisa una colposa responsabilità. Nel 1911 era il sindaco ad essere sbeffeggiato, mentre un altro amministratore addirittura perdeva la vita, perchè loro era la colpa del colera. Nessuno pensava di prendersela con il governo, perchè il governo era sentito lontano, qualcosa cui non si apparteneva. L'untore era il più vicino delegato del governo, ma distante dai suoi sudditi sul piano della gerarchia sociale e politica. Nel 2011, invece, la maturazione civile è cresciuta in maniera direttamente proporzionale al senso di appartenenza nazionale, e con questo alla consapevolezza di un divario persistente. Oggi il sindaco, Felice Spingola, è in prima fila con i disoccupati o con chi un lavoro non l'ha mai avuto. Gli uomini sono scesi per le strade di Verbicaro con tante donne e bambini, senza usare la violenza di cento anni prima, perchè convinti di avere nelle istituzioni "più alte" un interlocutore. Ma così non è stato, purtroppo. Un viaggio a Catanzaro per tentare di parlare con l'assessore al ramo ha prodotto nel primo cittadino e in chi era con lui solo delusione e amarezza: nessuno li ha ricevuti, anzi, sono stati addirittura "snobbati".
Le due emergenze vere del centro montano sembrano oggi essere il dissesto idrogeologico e la mancanza di lavoro. L'attuale amministrazione ha quindi presentato alla Regione tre progetti che mitigherebbero entrambi: uno concerne la strada che porta all'acquedotto, interessata da caduta massi, l'altro riguarda la manutenzione delle briglie di tre canaloni, il terzo la creazione di uno chalet e di un'area pic - nic all'interno di una zona Parco del Pollino.
Finora si sono ricevute solo false e strumentali promesse, l'altro giorno a Catanzaro è stata trovata anche qualche porta chiusa. Il sindaco Spingola teme che rimandare la risoluzione del problema occupazionale, non manifestare la benchè minima volontà di affrontarlo, possano avere pesanti ripercussioni anche sul versante dell'ordine pubblico.
L'aumento della disoccupazione deriverebbe soprattutto dalla crisi degli investimenti privati nel settore dell'edilizia: qui i verbicaresi negli ultimi decenni avevano guadagnato un ruolo di primo piano; verbicaresi, infatti, sono la maggior parte dei costruttori operanti nel comprensorio, hanno fatto scelte edilizie spesso qualitativamente discutibili, oltre che negativamente impattanti sull'ambiente circostante. Nella stessa Verbicaro a un centro storico antico, bello, architettonicamente valido, ma oramai devastato dai crolli e dall'abbandono, fa da contraltare il nuovo paese, con palazzi alti e quasi sempre privi di ascensore, addossati gli uni agli altri, che danno l'idea della precarietà e del risparmio nell'uso dei materiali. Il settore oggi, si diceva, è fermo e chi aveva in esso investito e nel frattempo si era fatto i soldi oggi può rimpinguare la locale banca oltre all'ufficio postale, chi invece era semplice manovalanza non sa più come sbarcare il lunario. La crisi odierna generale va solo ad aumentare quella già esistente e, secondo alcuni dati, ben il 54 % della popolazione risulta disoccupata. Scendere in piazza non è certo l'antidoto, tuttavia può essere importante. E anche portare in sede di consiglio comunale la discussione sulle strategie da attuare da oggi in avanti può essere un ulteriore passo positivo. Affinchè non sia dia l'idea, dentro e fuori Verbicaro, di voler cavalcare la tigre e perchè un fronte politico unitario, compatto, può avere un peso maggiore, a Cosenza come a Catanzaro.
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