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Descolarizzare la società: edizione Tremonti/Gelmini

ITALIASCUOLA - Ho ricordato più volte in altri scritti quanto sia stato importante il contributo dei descolarizzatori che negli anni Settanta, con una visione certamente tutta utopica e ottimistica, dichiaravano che il ruolo della scuola fosse ormai in dirittura di arrivo, stante il fatto che la società democratica, civilmente cresciuta e ampiamente acculturata, potesse da sola far fronte ai problemi dell'istruzione senza più attivare luoghi da essa separati.
In effetti, la scuola è una istituzione recente per le nostre società. Per migliaia di anni i nuovi nati apprendevano dal e nel sociale che cosa fosse necessario per sopravvivere: alimentarsi, difendersi, riprodursi. Ciò che il gruppo - maschi e femmine, padri e madri, una volta incerti, poi, con le prime organizzazioni famigliari, sempre più certi - faceva, i nuovi nati facevano. E il progresso indotto dalle invenzioni era lento, quanto lente erano le stesse invenzioni. L'aratro a chiodo e la zappa si sono riprodotte per migliaia di anni, come l'arco e la freccia e la cerbottana: agricoltura, allevamento, caccia hanno costituito per millenni la garanzia della sopravvivenza; e i nuovi nati si integravano a quelle tecniche senza particolari mediazioni. Si diventava adulti molto presto, quando si era in grado di lavorare e di riprodursi. Non c'era l'adolescenza, questa età di mezzo tipica, invece, delle società successive, complesse, tecnologicamente avanzate, caratterizzate anche da una rigida divisione del lavoro. Tutta colpa della rivoluzione industriale? Non mi avventuro in discorsi complessi, ma è certo che dalle botteghe artigiane e non dalle facoltà di architettura sono usciti gli Alberti, i Brunelleschi, i Michelangelo e... non erano affatto dottori con laurea e con lode!

Insomma, la scuola è nata dopo, molto dopo, quando i gruppi famigliari si sono dimostrati incapaci di condurre quei processi di socializzazione e di acculturazione che si facevano via via sempre più complicati. Basti pensare ai processi di alfabetizzazione che gruppi famigliari di analfabeti sarebbero stati assolutamente incapaci di attivare.
Le proposte di Illich, Reimer, Goodman non erano del tutto cervellotiche. La loro tesi era più o meno questa: la società si è arricchita di tante istituzioni, organizzazioni, servizi, apparati produttivi a fronte dei quali la scuola è povera cosa! La scuola non è più in grado di preparare alla società perché la società la sopravanza e della lunga! La scuola, quindi, finisce con l'essere un limite più che una risorsa per i nuovi nati! Tanto vale restituire l'istruzione al sociale, come era una volta alle origini dell'umanità. Teorie suggestive quelle dei descolarizzatori, ma di difficilissima applicazione, tant'è vero che la loro stagione è passata nel giro di un tempo assai breve. E chi si ricorda più di loro? Comunque, eravamo tutti d'accordo che la scuola fosse molto indietro rispetto alle esigenze del sociale, per cui la necessità di avviare rapporti sempre più stretti e produttivi tra scuola, mondo del lavoro e società era sempre perseguita. Quante battaglie per questo obiettivo! Basta ricordare, per quanto riguarda il nostro Paese, i decreti delegati del 74, tutti finalizzati alla costruzione di un nuovo rapporto tra scuola e società; e tutta la stagione dell'area di progetto nell'istruzione tecnica e del Progetto 92 nella professionale! E si andava avanti!

Ma oggi? Ciò che sta accadendo in questi giorni mi riporta indietro di mezzo secolo! Forse i nostri ministri Tremonti e Gelmini sono caduti sulla via... della descolarizzazione? Indubbiamente non sanno nulla di Illich e compagni, perché, se li avessero letti, avrebbero trovato uno straccio di giustificazione al loro... folle volo! Quindi si tratta non di una descolarizzazione in funzione di una tesi: faccia il sociale ciò che la scuola non può! Ma di una descolarizzazione fine a se stessa: la scuola ha un costo che non intendiamo più sostenere! Ciò che la scuola produce lo si tocca con mano solo ad anni di distanza! E per una società sempre più schiava dell'usa e getta le prospettive a tempi lunghi sono micidiali! Insomma, la globalizzazione vale solo per la coordinata spazio, non per la coordinata tempo. Ed è proprio la scelta di non pensare secondo i tempi lunghi che ha condotto a questa società sempre più liquida che tanto affligge il nostro Bauman e... purtroppo tutti noi.
La cosa più naturale del mondo, i genitori che investono per l'avvenire del figlio, sembra non esistere più almeno nelle scelte dei nostri governanti. Investire per il futuro, investire in istruzione, non si può e non si deve! Viene da chiedersi: ma che cosa è avvenuto in questi ultimi decenni? Quando i nostri nonni andavano nella pluriclasse facendo chilometri a piedi e portavano ciascuno un pezzo di legna per la stufa, sapevano che quel sacrificio sarebbe stato ripagato. In quello sperduto paesino poi è nata la scuola elementare, poi la scuola media, poi l'istituto comprensivo, ed è stato attivato il riscaldamento. Ciascuno di noi accetta un sacrificio quando c'è la prospettiva di un domani migliore! Nel 1945 eravamo letteralmente morti di fame, ma poi, un po' con il piano Marshall, un po' con il nostro lavoro, arricchito anche da una polemica politica fortissima ma costruttiva tra la Diccì e il Piccì, in un decennio abbiamo dato vita al miracolo economico!!!

Che cosa ci danno in cambio, oggi, Tremonti e Gelmini in termini di prospettiva? Assolutamente nulla! Saranno lacrime e sangue anche per gli anni futuri! Mi chiedo, da ignorante dei processi economici: dov'è che il motore si è inceppato? Perché stiamo tornando indietro, invece di andare avanti? E' tutta colpa della globalizzazione? Tutta colpa della Cina? O dell'India? O del Brasile? O degli immigrati che giorno dopo giorno affollano l'Europa? Ma è in grado la nostra classe dirigente di rispondere a questi interrogativi? Perché la Polonia sta conoscendo un nuovo giorno? Perché da noi è solo notte fonda?

E chi paga sono i nostri bambini, che pagheranno anche da grandi perché il loro avvenire è stato cancellato! E poi non ci vengano a raccontare che occorre premiare il merito, quando questa descolarizzazione strisciante produrrà solo demerito! Uno su mille ce la fa, dice Gianni Morandi... e gli altri novecentonovantanove? Al macero! Ma non a Napoli, perché... rimarrebbero... in mezzo a una strada!

Maurizio Tiriticco
02/07/2011
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