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La comunicazione social fra verità, bufale e improbabili tribunali del popolo.

 Il "quarto uomo" del post moderno, post alfabetico e a rischio analfabetismo di andata e ritorno, non può prescindere dalla centralità della "parola", parlata, ascoltata e scritta. 

Il nuovo anno è iniziato all'insegna della polemica politica sulla comunicazione e fra i mezzi di comunicazione, innescata dall'ex comico genovese e leader dei Cinque stelle Beppe Grillo il quale aveva, senza usare eufemismi, accusato i vari media (dai giornali alle tv) di essere fabbricanti di bufale invocando la costituzione di un tribunale del popolo per giudicare le notizie e ristabilire la verità dei fatti. Un'uscita davvero grave che ha suscitato la reazione indignata e corale di tutti gli organi di informazione; fra esse molto determinata quella di Enrico Mentana, che aveva annunciato una querela per diffamazione al fine di tutelare il buon nome e la professionalità della testata da lui diretta. Iniziativa poi stoppata dalla precisazione di Grillo che aveva disinnescato l'avvio della vicenda giudiziaria. La levata di scudi corporativa, del tutto legittima, tuttavia ha finito per salvare in toto l'intera categoria e quindi, come spesso accade in casi del genere, assolvendo "con formula piena" anche quanti magari non svolgono la loro professione rispettando rigorosamente le norme deontologiche di questo grande, appassionante, difficile e delicato mestiere. Ma al di là di questi cosiddetti "effetti collaterali", l'uscita social del leader maximo del movimento pentastellato ha senza dubbio aperto un dibattito molto profondo sulla nuova dimensione della comunicazione in un mondo che sociologi, filosofi, studiosi e analisti economico-politici più in generale, hanno definito come post-moderno o post-alfabetico, per indicare l'era della televisione e subito dopo di internet e della rete, con le nuove frontiere della comunicazione nell'universo social. L'era del "quarto uomo", che ha soppiantato il "terzo", legato alla parola scritta, quello della "Galassia Gutenberg", nato con l'umanistica invenzione della stampa, che aveva sancito la spersonalizzazione della parola, basata sulla mobile e sonora oralità, per diventare il fissato scritto, immagazzinabile e classificabile industrialmente in una vera e propria catena di montaggio del moderno sistema capitalistico. 

La rivoluzione informatica e telematica ("mediale") ha modificato profondamente il modo di comunicare, i contenuti stessi e anche il grado di coinvolgimento, produzione e "consumo" della comunicazione, divenuta qualcosa di "altro", social appunto. I suoi linguaggi hanno assunto le forme variegate delle folle di produttori autodidatti fai da te: immagini, video, self, post scribacchiati velocemente, acronimi abbreviati e neologismi che diventano in poche ore patrimonio di migliaia di "replicanti" e like. Un rimescolio caotico e incessante di ogni sorta di contenuto, dal privato e riservato al culturale impegnato, dalle catene di solidarietà a quelle politicamente schierate, dalla genuina filantropia al più autentico ambientalismo; ma anche veicolo degli istinti più selvaggi e violenti, xenofobi, razzisti e intolleranti, eredi di ideologie sanguinarie, protagoniste dei periodi più bui della storia dell'umanità. E questa selva fitta ed inestricabile, ma anche piazza aperta nel villaggio globale dove non tramonta, o non sorge mai il sole, ha catalizzato in pochi anni le attenzioni e l'interesse di un pubblico sempre più vasto di aziende e imprenditori che hanno colto al volo le opportunità offerte da spazi illimitati che producono, richiedono, consumano, trasformano e riciclano informazioni, notizie cercate morbosamente, a tutti i costi, a volte nei luoghi più impensabili e oscuri, senza andare troppo per il sottile nel preoccuparsi di attendibilità e affidabilità della fonte.

Eppure questo nuovo orizzonte social è stato da molti esaltato come luogo della democrazia compiuta, della libertà di espressione e di pensiero, finché non ci si è resi conto che l'assenza di regole condivise, o meglio, il mancato rispetto delle norme più essenziali di deontologia giornalistica o, semplicemente, della buona educazione, ha portato alla creazione di una giungla indifferenziata delle mistificazioni, all'imbarbarimento più totale, capace di creare santi e mostri, salvo poi cannibalizzarli indifferentemente. Un mondo di bufale costruite ad arte per santificare o demonizzare alla bisogna, lanciate in modo scientifico nella rete, sempre pronta a raccogliere e replicare oltre ogni limite, nella piazza virtuale in cui l'unico metro di giudizio è quello dei like, delle condivisioni che spesso si riducono al tempo e allo spazio di un clic, senza prendersi la briga di verificare di che si tratta. Secondo questo nuovo sistema fondato sul "quarto uomo" post moderno e post alfabetico, non sono importanti i contenuti, quanto piuttosto la potenza emotiva dello slogan, spesso una notizia falsa (fake news). Ma in fondo non interessa affatto la veridicità della notizia, essendosi ormai ridotti ad essere delle "echo chamber", camere di risonanza dell'eco di utenti e contenuti che confermano e rilanciano l'opinione espressa nel messaggio.

La ricerca della verità, attraverso la critica, la discussione e il confronto serrato fra le parti, sono tutte cose vecchie, inutili perdite di tempo passate di moda (pensiamo al presidente eletto degli Stati Uniti che alcuni giorni fa in un tweet ha definito le Nazioni Unite un luogo in cui si fanno solo chiacchiere). Al loro posto si preferisce la virulenza degli slogan urlati, corredati di immagini agghiaccianti e dalla fabbricazione ad arte di bufale denigratorie ed infamanti, per screditare l'avversario e distruggerlo non solo politicamente o economicamente, ma anche moralmente, se non addirittura fisicamente. Del resto questa strategia era stata usata con assoluto cinismo da qualche testata giornalistica che aveva portato al conio del cosiddetto "metodo Boffo", dal nome del malcapitato direttore del quotidiano Avvenire il quale nel 2009 fu "punito" per aver avuto l'ardire di scrivere alcuni articoli critici nei confronti dell'allora presidente del Consiglio italiano, e aggredito con una campagna di stampa sistematica, basata su una bufala, certificata tale dall'autorità giudiziaria, ma costruita ad arte e contenente accuse gravi ed infamanti, con l'unico scopo di demolirne l'onorabilità personale e professionale.

Un esempio fra i tanti che parla di un uso politico dei mezzi di informazione e di un giornalismo talvolta asservito al potente di turno, talvolta anche datore di lavoro, che con l'avvento della rete e della rivoluzione targata social network, ha subito un'accelerazione incommensurabile, moltiplicando autori ed attori di un fenomeno che corre sui fili invisibili della rete del villaggio globale e non conosce limiti né per età, né per i contenuti veicolati. Una nuova dimensione di problemi che investono in profondità la nostra società e hanno suscitato l'allarme delle istituzioni e degli studiosi, che hanno posto l'accento sul problema sicurezza della rete e sui fenomeni di criminalità sempre più frequenti, sia in termini di violazione della privacy degli utenti, che dell'altrettanto preoccupante cyber bullismo, di cui sono vittime soprattutto gli adolescenti ed i giovani più in generale. Anche se ancora mancano rimedi del tutto efficaci e le risposte delle autorità sono spesso lente e poco incisive, è opinione comune che alla base ci sia ancora una volta un problema di educazione ad un uso consapevole e responsabile di questo formidabile sistema di comunicazione. In altri termini non può esserci autentica democrazia e vera libertà senza cultura ed educazione alla civile convivenza, perché è proprio qui che si stabilisce il confine netto con la barbarie che imperversa a tutti i livelli, e non parliamo soltanto del terrorismo integralista di matrice religiosa.

Il "quarto uomo" del post moderno, post alfabetico e a rischio analfabetismo di andata e ritorno, non può prescindere dalla centralità della "parola" (logos, mythos, verbum) parlata, ascoltata e scritta, partendo dall'antico adagio attribuito a Catone il censore e ripreso da Cicerone, Seneca e Quintiliano, i quali la pongono alla base della formazione del perfetto oratore come vir bonus dicendi peritus, uomo onesto esperto nell'arte del parlare. E non può essere una casualità l'aver posto come premessa irrinunciabile il principio etico dell'onestà, intellettuale e morale.

Pio G. Sangiovanni
08/01/2017

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