ORSOMARSO - La morte di mons. Domenico Crusco, don Domenico come lo chiamava amabilmente un amico parroco della chiesa di San Marco, ha fatto ricordare alcuni episodi legati sia al periodo in cui egli era ancora rettore del seminario vescovile della diocesi, che successivamente all'intensa esperienza degli otto anni ad Oppido-Palmi, nelle stanze del vescovado a San Marco. Sono ricordi che sembravano ormai nascosti in un angolo quasi dimenticato della memoria che adesso, alla notizia della scomparsa di questo uomo austero, ma semplice e bonario, ritornano nitidi e freschi, coi colori e le sensazioni di allora.
Lo conobbi per la prima volta impegnato a dirigere i giovani seminaristi, con equilibrio, attenzione e delicatezza, prodigo di consigli e attento all'ascolto e alle esigenze di tanti esseri che portavano con sé le storie e le esperienze più varie e contraddittorie. Don Domenico accoglieva e sosteneva con spirito aperto e la serenità d'animo dell'uomo di chiesa che aveva a cuore proprio il bene di quell'umanità che era parte integrante della sua Chiesa, per la quale ha dedicato la sua vita e il suo ministero sacerdotale. Una linea continua questa, che percorre per intero la sua storia umana e spirituale. Una umanità spoglia di ogni fronzolo o artificiosità, ma sempre dignitosa, che incuteva rispetto nella sua bonaria semplicità quasi montanara, che tanto ricordava il carattere del suo paese di origine e al quale era tanto legato.
Un'umanità vera, quella di mons. Crusco, che torna adesso alla memoria di un incontro di una sera d'inverno quando, insieme al presidente dell'Azione Cattolica diocesana e ad Umberto Tarsitano fummo ricevuti nelle stanze private dell'Episcopio e facemmo una breve anticamera per attendere che la suora aiutasse don Domenico a mettere il collirio agli occhi. Un'attesa breve che fu seguita dall'accoglienza benevola e spontanea del presule che si sedette con noi e ci ascoltò pazientemente e premuroso, senza dissimulare la sua condizione di uomo di Dio che, nel congedarci, ci confidava la sua stanchezza fisica e, quindi, l'appuntamento con la preghiera della sera, la compieta, prima di riconciliarsi con il sonno.
Il terzo momento che mi torna alla mente è più vicino nel tempo: vedo un don Domenico ormai vescovo emerito, segnato dalla malattia del corpo, quando in una sera di marzo venne a sostituire il parroco di Orsomarso che era assente. Anche in quell'occasione ci riconciliò con la sua grande umanità, la fatica del vivere che sopportava con grande forza e pazienza, piegandosi e soffermandosi sulle parole e sui gesti, con quello sguardo sereno che non mascherava la sofferenza e che riservava per ognuno di noi un cenno ed un gesto di carezza paterna.
Oggi, nel giorno dell'estremo saluto terreno, anch'io ho voluto ricordarlo con queste riflessioni, semplici e spontanee, come piacevano a don Domenico.