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Contro gli scempi ambientali, la malapolitica e la ’ndrangheta che saccheggia il territorio. E per chiedere la verità sulle navi dei veleni e i misteri che si portano dietro. Ad Amantea sfila la Calabria pulita e sfida le cosche a viso aperto. In 35 mila in piazza.
Andrea Palladino (Il manifesto)
AMANTEA - È un punto di svolta la manifestazione di ieri ad Amantea. Un segno evidente, fisico della rottura che sta avvenendo tra la popolazione e chi ha mantenuto il silenzio velenoso per diciotto anni. La questione, in fondo, è semplice: chi ha intossicato le terre e il mare della Calabria oggi non può più garantire la protezione economica, l'ombrello di salvataggio che solo il silenzio riusciva a lasciare aperto. I pescatori di Cetraro stanno pagando in prima persona uno per uno tutti i bidoni pieni di scorie tossiche e radioattive abbandonati sul fondo del mare, davanti agli stabilimenti balneari che qui sono la vera ricchezza e il pane quotidiano per migliaia di persone.
Sono dunque sfilati in tanti ieri ad Amantea. Erano oltre trentacinquemila le persone che hanno percorso circa un chilometro e mezzo, dal lungo mare fino alla piazza centrale. Calabresi arrivati anche dall'interno, dove l'agricoltura deve combattere con le cosche criminali che ancora oggi sversano tonnellate di rifiuti, nascosti nelle grotte o gettati nel fiume. «La Calabria deve liberarsi dalla cultura degli amici degli amici - spiega con forza l'assessore regionale all'ambiente Silvio Greco - un sistema che ci ha lasciato oggi una terra con 480 discariche». E il senso della manifestazione appare ancora più chiaro, quando davanti al mare, grigio e agitato, i sindaci si stringono intorno alla vedova di Natale De Grazia. Era un capitano di vascello, in servizio presso la Capitaneria di porto di Reggio Calabria ed aveva un fiuto investigativo straordinario. Tra il 1994 e il 1995 si era messo alla caccia dei vascelli usati per il traffico di rifiuti tossici, studiano il dossier delle tante navi affondate in circostanze mai chiarite nel Mediterraneo. Ieri il via alla manifestazione che chiede a distanza di anni verità e giustizia per la Calabria è venuto dalla cerimonia di intitolazione del lungomare di Amantea al suo nome. È quasi un momento intimo, dove i ragazzi del comitato De Grazia di Amantea - che in soli venti giorni hanno organizzato la manifestazione - hanno letteralmente circondato la vedova del capitano di vascello, mentre veniva scoperta la sua foto in uniforme. «Ricordo che tra il 1991 e il 1992 - racconta la vedova De Grazia - mio marito aveva insistito per venire in Calabria, per fare qualcosa per la sua terra». Ora di lui rimane il ricordo vivissimo sulla costa della Calabria, e un'indagine mai portata a termine. Ed è proprio dalla rabbia per la sua morte che riparte la ricerca della verità.
Mentre la testa del corteo - differente da quelli romani, con i politici di fatto invisibili - inizia a percorrere il corso Regina Margherita, gli autobus partiti dalle altre città calabresi si allineano sulla strada statale che porta verso Lamezia Terme. Sono scuole, associazioni, gruppi di amici, professori universitari, circoli ambientalisti. Parlano delle navi trovate, ma anche del patrimonio culturale e archeologico, di piccole chiese sconosciute e dei resti della cultura della Magna Grecia. C'è la forza travolgente dei liceali, quelle stesse facce che sfilarono contro la 'ndrangheta e che diedero vita al movimento "Ammazzateci tutti". Sono qui per dare coraggio, per far capire alla città di Amantea che non si troverà sola. Se il governo dopo quarantatre giorni ancora non dice con chiarezza quello che farà per mettere in sicurezza il mare di Cetraro, gli abitanti hanno già scelto, hanno già fatto sapere che, in ogni caso, hanno tutta l'intenzione di andare fino in fondo.
«A gennaio, quando inizieranno a non arrivare più le prenotazioni per gli alberghi tutti capiranno quello che è successo», commenta un ragazzo nato qui e, come tanti, emigrato verso il Nord. «Se non verranno segnali chiari e forti - continua - e se il governo non presenterà una soluzione definitiva per il relitto, qui sarà il tracollo dell'intera economia». Le persone guardano dunque il corteo sapendo che la loro speranza verrà da quel piccolo comitato di Amantea, che dal 2003 chiede la verità sull'intera vicenda della navi dei veleni. Il vero problema è quella cappa di silenzio che dal 14 dicembre 1990 - quando si spiaggiò la Jolly Rosso - ha garantito l'assoluta impunità per chi nascose quel materiale radioattivo, oggi ritrovato dalla Procura di Paola lungo il corso del fiume Oliva. «Diciamolo chiaramente - spiega il giovane di Amantea - per poter nascondere nelle zone del fiume i rifiuti tossici hanno avuto bisogno dell'appoggio dei gruppi criminali locali. Chi poteva, altrimenti, garantire che nessuno parlasse per così tanto tempo?».
Il Pdl il giorno prima della manifestazione si è prima dissociato, per poi passare direttamente all'attacco. Il ministro Prestigiacomo - che il sette ottobre in parlamento aveva annunciato la partenza di una nave poi sparita nel nulla - ha accusato i manifestanti di «irresponsabile speculazione». La colpa del crollo dell'economia sulla costa tirrenica della Calabria - per il ministro - non dipende dalle organizzazioni criminali che hanno per decenni gettato ogni tipo di rifiuto, ma da chi oggi sta denunciando e chiedendo subito un intervento per mettere in sicurezza le zone contaminate. La risposta del governo, d'altra parte, parla da sola. Prima hanno mandato una nave, l'Astrea, senza le strumentazioni idonee. Poi hanno annunciato l'intervento fantasma di altre navi, senza fornire nessun dettaglio. Mentre saliva il pressing della stampa e di parte del parlamento, hanno inviato di nuovo l'Astrea, che è rimasta ferma a Maratea «in attesa di istruzioni». Quando poi la situazione è divenuta insostenibile, il ministero dell'ambiente ha fatto intervenire la "Oceano Mare", senza, però, rendere noto il protocollo di intervento. Una nave che ha chiuso poi le porte ai giornalisti - su disposizione della Dda - e che darà i risultati solo al Ministero e alla Procura.
«Per il sito sul fiume Oliva - ha spiegato ieri l'assessore Greco - la Procura di Paola ha predisposto un programma d'intervento chiaro e trasparente, chiedendo che sui campioni prelevati vengano realizzate analisi in laboratori della Procura, del Ministero dell'Ambiente e della Regione Calabria. Perché non viene fatto lo stesso sul lato mare?». Una delle tante domande che giravano ieri, soprattutto tra chi di mare vive. E mai come ora la sopravvivenza di una regione dipende dalla verità e della giustizia.