La storia di Domenico, 10 anni, morto dopo tre mesi di calvario Vittima di un regolamento di conti, gli assassini non hanno un volto. La madre: "Gli ho tenuto la mano ogni giorno. Reagiva, vedevo scorrere le sue lacrime".
CROTONE - Ci sono guerre dove neanche i parà arrivano a salvare gli indifesi. E dove gli innocenti cadono in silenzio, si accasciano senza clamore, morendo dopo tre mesi di agonia. In questa guerra, aperta nel crotonese dalle cosche della 'ndrina per lo spaccio e le estorsioni, i bambini sono quelli che muoiono. Per sbaglio. Domenico Gabriele, dieci anni, era un bambino esuberante, innamorato del calcio, appassionato della scuola che lo ricambiava con i 10 in pagella e i premi a fine anno. Se n'è andato domenica scorsa, dopo tre mesi di coma. Vittima per errore del piombo di un regolamento di conti. Ucciso mentre giocava a calcetto insieme al padre. I suoi assassini non hanno ancora un volto, dopo tre mesi. E nella sua casa, una spoglia palazzina bianca in mezzo alle campagne della frazione Canneto, per tutto il giorno c'è stata la lunga processione del rione intorno alle spalle curve di suo padre Giovanni e della madre Francesca. Domenico era il loro unico figlio. "Se muore uno del Sud, anche se è un bambino innocente, non fa impressione a nessuno, le autorità di Roma non se ne accorgono neanche", mormora Giovanni. "Assassini, li devono prendere, la giustizia deve fare il suo dovere fino in fondo". È un padre che va avanti da anni con lavoretti precari, che paga le spese, in tutti i sensi, di un'enorme voragine. Una famiglia onesta che nasconde i suoi stenti dietro una grande dignità. Persino durante l'agonia di Domenico, hanno dovuto fare i conti con il taglio della corrente elettrica, perché non avevano potuto pagare per tempo una bolletta.
Era la sera del 25 giugno quando un sicario del terrore mafioso sparò all'impazzata sul campetto di calcio dove correva anche Domenico, nella contrada Margherita, alla periferia nord di Crotone. Il killer mirava a fare una strage, il suo bersaglio era Gabriele Marrazzo, considerato un emergente luogotenente della mala locale. Purtroppo inseguiva anche lui la stessa palla. Oltre al morto, dieci feriti, compreso Domenico. Ora il pm Sandro Dolce della Procura di Crotone ha aperto un'inchiesta per strage, e i carabinieri coordinati dal maggiore Angelo Di Santo stanno ricostruendo la faida che coinvolgerebbe almeno tre cosche tra Crotone e i paesi della cintura a nord.
È buio nella casa dei Gabriele, tra i campi di finocchio e broccoli, e ci sono esposti gli scritti di Domenico, i suoi successi scolastici, perfino la targa che gli aveva regalato il Rotary Club, proprio poco prima di quella maledetta serata. "Domenico amava la Juve, Del Piero, fare le schedine, aveva tutti i pensieri e i gesti degli appassionati del calcio, sin da quando era piccolissimo", racconta sua madre. Quella sera, Dodò - come lo chiamano in famiglia - aveva spinto suo padre a portarlo alla solita partita nel campetto che dista pochi chilometri da casa. Poi, poco dopo le 22, quei colpi di fucile sparati alla cieca. È struggente il racconto di suo padre. "Io mi alternavo in campo con Domenico, era a dieta e con questa scusa voleva giocare ancora di più, perdere peso. Così, ogni dieci minuti io me ne andavo a bordo campo e facevo segno a lui di entrare. È stato in uno di quei minuti che l'ho visto cadere. All'inizio non ho fatto caso a quei colpi, sembravano dei mortaretti. Invece, dopo un secondo, Domenico si è accasciato. L'ho preso in braccio, ho gridato con tutto il fiato che avevo, lui mi guardava ma già cominciava a non essere più presente". Poi comincia l'odissea. Prima il ricovero a Crotone, poi il trasferimento a Catanzaro, e le due operazioni: per arginare le emorragie al fegato ed estrarre il piombo dal cervello.
Dice sua madre: "Ogni giorno sono stata in ospedale a stringergli la mano. Dicono che non poteva parlare e muoversi, ma lui reagiva. Mi dava la mano e vedevo scorrere le lacrime. Gliele potevo asciugare". Un bambino dall'intelligenza profonda. Sua madre racconta che, un anno fa, quando era in quarta elementare, aveva addirittura "scritto e inviato una lettera al presidente Berlusconi per chiedere aiuto per la sua famiglia. Diceva: tu dai i soldi alle famiglie numerose, e a noi che siamo disoccupati? Io per questo non ho un fratello o una sorella, perché mio padre non se lo poteva permettere".
Una tragedia vissuta nella solitudine e nell'angoscia. Solo la Provincia ed il Comune di Crotone hanno, nelle ultime settimane, assistito la famiglia e collaborato per le prime necessità. Dice suo zio Ernesto Cerardi: "La Regione non l'abbiamo proprio sentita, ma dicevano in televisione che ci volevano mostrare affetto. Noi al Sud siamo abbandonati. Vorrei dire a chi ci governa, al signor Berlusconi, di dire meno barzellette e di rendersi conto del dolore e delle difficoltà in cui vivono, in Calabria, specialmente nel crotonese, migliaia di brave famiglie. Qui molti non arrivano a fine mese. Mio nipote è stato ucciso per una partita di calcetto. Nessuno se ne occupa. Vergogna, Italia". Oggi si terranno i funerali di Domenico. Il Comune ha proclamato il lutto cittadino. "Siamo vicini alla famiglia - afferma il sindaco, Giuseppe Vallone - . Gli assassini vanno assicurati alla giustizia".