a cura di Cinzia Colosimo
(fonte staminali.aduc.it)
Le cellule staminali sono cellule presenti in ogni organismo. Si caratterizzano dalle altre perché sono cellule non differenziate, o non specializzate, nel senso che non hanno ancora una funzione ben precisa all’interno dell’organismo stesso.
Le staminali possono riprodursi in maniera pressoché illimitata, dando vita contemporaneamente ad altre cellule staminali e a cellule precursori di una progenie cellulare destinata a differenziarsi e a dar vita a tessuti e organi, come i muscoli, il cuore, il fegato, le ossa ecc.
Le staminali possono essere totipotenti, quando danno luogo a tutti i tessuti, pluripotenti (o multipotenti), quando possono generarne solo alcuni, e unipotenti, quando danno vita solo ad un tipo di cellula.
Differenza tra cellule staminali fetali, embrionali, cordonali ed adulte
Le cellule staminali fetali sono ricavate da aborti. Il loro utilizzo in medicina equivale all'uso di organi espiantati da cadaveri. Dal punto di vista biologico, non si hanno ancora conoscenze definitive, ma dagli studi disponibili é emerso che hanno caratteristiche intermedie tra quelle embrionali e quelle adulte.
Tendenzialmente sono pluripotenti e deputate all’accrescimento peri-natale dei tessuti.
- Le cellule staminali embrionali si trovano nella regione interna dell’embrione prima che si sia attaccato alla parete dell’utero. Si tratta di cellule totipotenti, con alte capacità di proliferazione, e grazie a queste caratteristiche sono particolarmente ambite per uso terapeutico contro molte patologie umane. Possono essere isolate, estratte e coltivate in vitro, con il risultato che, a partire da poche decine di cellule, si possono ottenere linee di centinaia di milioni di staminali intatte. L’estrazione di queste cellule richiede la soppressione dell’embrione, che non supera mai i 14 giorni dalla sua fecondazione. Vi é un’ulteriore suddivisione fra le cellule staminali embrionali, che riguarda più l’uso e l’origine, che le caratteristiche stesse:
- staminali embrionali eterologhe; si trovano nella regione interna dell’embrione prima dell’impianto in utero. Queste cellule infatti, sono estremamente utili per le loro capacità terapeutiche in generale, anche se il loro patrimonio genetico non é lo stesso di un potenziale paziente che ne trarrebbe giovamento. Il dibattito su queste cellule si focalizza sostanzialmente sugli embrioni sovrannumerari rimasti inutilizzati nelle cliniche per la fertilità. Questi embrioni vengono crioconservati generalmente per 5 anni, dopo i quali non sono più impiantabili in utero, e vengono destinati alla distruzione. In Italia non esiste un registro di questi embrioni, ma é plausibile che il numero sia estremamente elevato: tra i soggetti interessati a impiantare nel proprio utero questi embrioni, e quelli realmente prodotti vi é un’enorme sproporzione. Gli scienziati chiedono quindi di poter operare su tali embrioni, come é già possibile fare in Gran Bretagna, ad esempio.
- staminali embrionali autologhe; sono prelevate dopo che il nucleo di una cellula adulta viene trasferita in un uovo privato del suo nucleo. Possiedono quindi lo stesso patrimonio genetico del donatore della cellula adulta, e possono essere trapiantate senza rischi di rigetto. Sono in sostanza il frutto della cosiddetta clonazione terapeutica. Un esempio pratico può mostrare la differenza tra eterologhe e autologhe. Un paziente X ha bisogno di un trapianto di staminali embrionali. Le possibilità sono due: utilizzare staminali eterologhe prelevate da un embrione sovrannumerario e poi coltivarle. Oppure prelevare una cellula del paziente X, dare vita ad un embrione tramite clonazione o TNSA, e poi prelevare le staminali autologhe sviluppatesi nell’embrione stesso, cellule che hanno il medesimo patrimonio genetico di X.
Le cellule staminali presenti nel sangue del cordone ombelicale suscitano molta attenzione fra le compagnie biotech e le banche per la conservazione di materiale biologico. Molti sperano infatti di poter creare delle banche apposite di cellule autologhe (proprie) per ogni neonato al momento della nascita; in Italia per ora é vietata l'istituzione di banche presso strutture sanitarie private anche accreditate. Per quanto riguarda l’uso autologo, é previsto solo previa autorizzazione da parte delle regioni, e non comporta alcun onere a carico del donatore. Ma le loro applicazioni possibili sono ancora ristrette, sembra infatti che siano in grado di produrre solamente cellule del sangue, che comunque sono un valido aiuto nel caso di malattie ematologiche, come le anemie o alcuni tipi di cancro.
Le cellule staminali adulte provvedono al mantenimento dei tessuti e alla loro eventuale riparazione, ma le loro capacità non sono illimitate, e quando vengono a mancare inevitabilmente i tessuti e gli organi tendono a decadere. Da recenti studi sembra che abbiano una particolare plasticità, mentre un tempo si credeva che le staminali adulte fossero in grado di differenziarsi solo nei tessuti ospitanti. Per quanto riguarda l’uso terapeutico vi sono ancora delle difficoltà nella crescita e nella coltivazione in vitro, e pertanto sono necessari ulteriori studi e sperimentazioni.
Clonazione: cos’é e che differenza c’é tra clonazione terapeutica e riproduttiva
Tecnicamente, si definisce clonazione, la riproduzione di un organismo geneticamente identico all’organismo donatore della cellula impiegata, in assenza della fusione dei gameti. In sostanza, é la creazione di un organismo senza che vi sia una riproduzione sessuata, che di fatto prevede la creazione di un nuovo codice genetico.
Nel processo di clonazione viene presa una cellula somatica qualunque (di solito una cellula della pelle). Se ne estrae il nucleo, e questo viene impiantato in un ovocita cui è stato precedentemente eliminato il nucleo originale. L’ovocita con il nucleo della cellula somatica, a questo punto può:
- essere impiantato in un utero, svilupparsi, crescere e dare vita ad un clone, ed in questo caso si parla di clonazione riproduttiva;
- essere utilizzato come fonte di cellule staminali embrionali, che si sviluppano entro pochi giorno dalla fecondazione, ed in questo caso si parla, impropriamente, di clonazione terapeutica. Proprio su quest’ultima é opportuno però fare un approfondimento.
Clonazione terapeutica
Questo procedimento ha come fine la produzione di cellule e tessuti somatici con un patrimonio genetico (le informazione contenute nel DNA) identico a quello della cellula di partenza, ma non corrisponde alla vera e propria formazione dell’embrione, perché é possibile interromperne la crescita molto prima, per la sola estrazione delle cellule.
Ma perché viene definita terapeutica? Le cellule staminali embrionali possono risolvere molte patologie, tutt’oggi incurabili.
Un esempio pratico: un paziente soffre di Alzheimer, una malattia che colpisce innanzitutto i neuroni, cioé le cellule del cervello. Non ci sono cure definitive a questa malattie, che é lunga e degenerativa. Con la clonazione terapeutica, é tecnicamente possibile creare un “clone” pre-embrionale del paziente, dal quale estrarre le cellule staminali embrionali geneticamente compatibili con quelle del paziente. Una volta ottenute e moltiplicate, queste fungono da “mattoncini di riparazione” per le cellule già morte, frenando notevolmente l’esito della malattia. Questa procedura viene impropriamente chiamata clonazione terapeutica, nome che gli é stato attribuito dal prof. Liam Donaldson, autore del Rapporto Donaldson, testo voluto da Tony Blair per la ricerca sulle cellule staminali.
Trasferimento nucleare di staminali autologhe (TNSA)
Diversamente dalla clonazione terapeutica, così come descritta dal rapporto Donaldson, questa tecnica sostanzialmente prevede la formazione di cellule staminali embrionali senza la formazione di uno zigote. É stata presentata la prima volta in un documento elaborato dalla Commissione di studio sull’utilizzo di cellule staminali del Ministero della Sanità italiano, il cosiddetto Rapporto Dulbecco.
Il procedimento é simile a quello della clonazione classica, ossia il trasferimento del nucleo di una cellula somatica in un ovocita enucleato, ma non fecondato. In pratica però si tratta di riprogrammare il nucleo delle cellule somatiche tramite il contatto con il citoplasma dell’ovocita. Quindi l’ovocita ricostituito non si può definire zigote in tutti i sensi, perché da solo non darebbe luogo spontaneamente ad un embrione e ipoteticamente ad un feto. Ne risulta che la tecnica, più che dar vita ad una forma di vita a parte, é simile ad una forma di espansione cellulare per via asessuata. Le cellule ottenute sarebbero geneticamente identiche a quella originaria del paziente, e questo avrebbe l’enorme vantaggio di creare cellule staminali immunologicamente compatibili per l’autotrapianto. E un altro aspetto fondamentale deriva dal fatto che é tecnicamente possibile utilizzare citoplasti di altre specie animali o prodotti artificialmente, di modo da arginare la dipendenza da un ovocita di donna.