IL SETTIMANALE - Se vuoi la pace prepara la pace. Potrebbe essere questo l’ideale e lo stile di vita dell’agire quotidiano al quale ispirarsi per l’umanità del terzo millennio proprio mentre molte regioni del mondo sono investite da conflitti sanguinosi che mietono giornalmente vittime innocenti, soprattutto civili e bambini. Il pensiero va inevitabilmente al Libano, nuovamente ridotto a campo di battaglia di uno scontro fra due popoli e due mondi ai quali il destino ha assegnato la stessa terra; all’Irak, all’Afganistan.
Tutti conflitti, questi, che ci vengono in ogni momento della giornata riproposti dai potenti mezzi di comunicazione di massa ma che non sono soltanto una parte il cui clamore copre una serie incredibile di guerre dimenticate, si pensi ad esempio all’Africa, che da decenni si combattono sul pianeta terra. Nelle dichiarazioni dei grandi del mondo si sente spesso ripetere che si vuole evitare lo scontro di civiltà tra Occidente e Paesi islamici, ma di fatto i gesti concreti e quotidiani sembrano andare proprio incontro a questo drammatico evento le cui conseguenze potrebbero essere davvero catastrofiche per l’intera umanità.
La dottrina del Presidente americano G. W. Bush, nel suo pragmatismo ha portato alla semplificazione dei concetti e alla logica della forza dei muscoli, della risposta militare e delle bombe come strumento privilegiato per risolvere situazioni di crisi e di conflitti regionali. Il terrorismo internazionale, ecco una espressione molto usata e che rientra nella semplificazione mediatica degli ultimi anni, è divenuto il vero nemico che bisogna stanare in ogni modo, anche a costo di invadere militarmente un paese sovrano dal punto di vista delle regole del diritto internazionale.
Una logica che ha portato alla definizione di nuove prospettive che sembrano destinate a regolare la civile convivenza nel prossimo futuro: la dottrina della guerra preventiva, dell’aggressione armata a paesi ritenuti conniventi o tolleranti con le organizzazioni terroristiche; governati da regimi autoritari da rimuovere con la forza per sostituirli con sistemi parlamentari sul modello delle democrazie occidentali. Ma la democrazia non si esporta con i carri armati e le bombe. La guerra produce soltanto desolazione, distruzione e morte. La guerra è la negazione di tutto ciò che è vita, convivenza pacifica, civiltà.
Una prospettiva totalmente opposta a quella verso la quale pericolosamente i grandi del mondo e molti signorotti regionali sembrano volersi dirigere facendosi guidare dall’antico adagio e motto coniato dagli antichi romani “Si vis pacem para bellum” (Se vuoi la pace prepara la guerra). Una teoria carica di conseguenze nefaste a cominciare dal fatto che porta intere generazioni a pensare che l’altro uomo, chi ci sta di fronte, chi vive in un altro paese ed è magari diverso da noi, rappresenta un pericoloso nemico che prima o poi bisognerà combattere, quasi come se ciò fosse inevitabile.
Ma è proprio questo il problema: chi prepara la guerra sa già in partenza che dovrà combatterla, perché vede il mondo popolato di nemici, che anche quando non esistono si creano attraverso pretesti o ragioni che nulla hanno a che vedere con le regole del diritto, a cominciare dagli interessi economico-commerciali. Una prospettiva perversa che annulla il pensiero, la parola, che agli occhi del mondo mostra una prospettiva parziale e limitante. Chi prepara la guerra rinuncia a svolgere un ruolo attivo e positivo in favore dell’uomo a qualsiasi latitudine; fa nascere e prosperare in intere generazioni il sentimento dell’odio e della violenza come prospettiva futura che verrà coltivata e diventerà una ragione di vita per migliaia di uomini pronti a trasformarsi in fanatici kamikaze pronti ad immolarsi in qualsiasi momento.
Che fare dunque? Anche se gli scenari sembrano ormai delineati, non bisogna cedere all’ineluttabilità degli eventi. C’è ancora spazio per l’impegno ed il lavoro di pace. Un’azione paziente, costante, coraggiosa, soprattutto in momenti come questi, durante i quali parlare di pace significa esporsi al rischio di essere considerati folli o collusi col nemico. Ma non può essere diversamente per chi non accetta l’intreccio perverso di chi considera l’”uomo lupo all’altro uomo”, e rilancia con forza la propria convinzione: “se vuoi la pace prepara la pace”.