Chi non ha presenti gli spot con cui la Chiesa Cattolica chiede agli
italiani di destinarle l’8 per mille della loro IRPEF? Divenuti ormai
un classico dei palinsesti primaverili, quegli appelli pubblicitari
costituiscono l’unico esempio di autopromozione da parte dei soggetti
ammessi alla ripartizione: né lo Stato italiano, infatti,
né gli altri beneficiari hanno mai ritenuto di rivolgersi ai
contribuenti utilizzando simili messaggi.
Sarebbe interessante recuperarli tutti, sin dall’inizio, per
verificarne attentamente i contenuti e sintetizzarli in un documento
sinottico, diviso per aree tematiche; ignoro se un archivio simile sia
disponibile su Internet (sicuramente lo sarà presso le emittenti
che hanno trasmesso gli spot); tuttavia, andando a memoria, mi pare di
ricordare che la Chiesa Cattolica abbia sistematicamente chiesto ai
contribuenti di erogare la loro quota di imposte per finalità
quali l’assistenza ai disabili e agli anziani, il sostegno del terzo
mondo, l’accoglienza dei senza tetto e via discorrendo; in estrema
sintesi, quelle che nel linguaggio ecclesiastico vengono designate
“opere di carità”.
Tuttavia, se ci si prende la briga di verificare come la Chiesa
Cattolica abbia effettivamente impiegato i fondi ricevuti dall’otto per
mille (gran parte dei quali, peraltro, derivano dalla mancata scelta
dei contribuenti che non hanno apposto la loro firma su alcun
riquadro), ci si accorge che le cose, in realtà, sono ben
diverse da come appaiono.
All’indirizzo internet 8xmille.it è possibile
consultare il rendiconto di spesa dei fondi assegnati con l’otto per
mille, così come pubblicato dalla C.E.I.
L’esposizione è piuttosto contorta e farraginosa, ma se ci si
arma di una calcolatrice e di un pizzico di pazienza se ne può
venire a capo nel giro di un paio d’ore. In particolare, prendendo come
riferimento i fondi assegnati nell’anno 2005, si può evincere
quanto segue:
Impiego dei fondi assegnati |
Sacerdoti |
€ 315.000.000
|
Culto e pastorale |
€ 271.000.000
|
Edilizia di culto |
€ 130.000.000
|
Carità |
€ 115.000.000
|
Terzo Mondo |
€ 80.000.000
|
Beni culturali |
€ 70.000.000
|
Fondo di riserva |
€ 3.000.000
|
Totale dei fondi assegnati |
€ 984.000.000
|
Esaminando le voci appena elencate, ci si accorge che la più
significativa (circa il 32% del totale) è quella relativa al
sostentamento dei sacerdoti, che attraverso questo meccanismo viene
“integrato” dallo Stato italiano. Nel sito Internet della C.E.I.
è spiegato che, per l’anno 2005, il 57% dei fondi necessari al
sostentamento del clero deriva dall’otto per mille dell’IRPEF: si
tratta quindi di un’integrazione piuttosto sostanziosa, specie se si
considera che un ulteriore 22% di tale fabbisogno viene finanziato
attraverso gli stipendi dei sacerdoti che lavorano (per esempio come
insegnanti di religione, pagati dallo Stato che però non ha la
facoltà di sceglierli), e quindi che, in un modo o nell’altro,
lo Stato italiano mantiene i sacerdoti per una quota che sfiora il 70%.
La seconda voce di spesa (circa il 28% del totale), è
denominata “Culto e Pastorale”: scartabellando sul sito internet della
C.E.I. ci viene spiegato che in questa dicitura (piuttosto oscura per
un profano) è ricompreso il finanziamento dei seguenti filoni di
attività:
- Opere pastorali di varia natura quali famiglie religiose e
volontariato laicale (49 milioni di euro);
- Fondo catechesi per l’educazione cristiana (60 milioni di euro);
- Tribunali ecclesiastici regionali (7 milioni di euro);
- Fondi attribuiti alle diocesi (cioè ai vescovi) per il
finanziamento di varie attività quali esercizio della cura delle
anime, formazione del clero, di nuovo catechesi e formazione cristiana,
facoltà teologiche e istituti religiosi (155 milioni di euro).
Se si eccettuano le opere pastorali, che in taluni casi svolgono
attività di assistenza assimilabile a quelle mostrate negli spot
televisivi, le altre voci di spesa si riferiscono al finanziamento di
realtà che con quegli spot hanno ben poco a che vedere: si
può affermare, con un certo grado di approssimazione, che circa
l’80% di questa voce di spesa, corrispondente al 22% dei finanziamenti
totali, viene destinata a simili impieghi, che riguardano soprattutto
il funzionamento interno della Chiesa Cattolica e dei suoi apparati.
Circa il 13% del finanziamento totale viene poi destinato alla
cosiddetta “Edilizia di culto”, cioè agli interventi edilizi in
favore delle parrocchie, delle case canoniche, delle aule per il
catechismo (ma non dei parcheggi, delle palestre, degli impianti
sportivi, delle aule scolastiche).
Dando per scontato che le voci “Carità” e “Terzo mondo”, pari
complessivamente al 20% del totale, siano rappresentative di
attività corrispondenti a quelle reclamizzate negli spot, che
gli impieghi in favore dei “Beni culturali”, pari al 7% del totale,
finiscano in qualche modo per arrecare dei benefici sia pure indiretti
alla collettività, e trascurato il trascurabile accantonamento
al “Fondo di Riserva”, si possono tirare le somme e tornare a
riflettere sui messaggi pubblicitari di cui si diceva in precedenza,
alla luce dei calcoli appena effettuati.
Ebbene, i risultati dell’elaborazione sono addirittura sorprendenti,
se è vero che il 67% dei fondi ricevuti con l’otto per mille
vengono destinati a utilizzi che non corrispondono affatto agli
impieghi reclamizzati negli spot televisivi, ma che riguardano
piuttosto il mantenimento dell’apparato della Chiesa Cattolica, dei
suoi dipendenti, dei suoi fabbricati; solo il 33% dei fondi viene speso
per attività che in qualche modo possano essere ritenute
corrispondenti agli appelli mediatici; sui quali la Chiesa Cattolica ha
investito, negli ultimi anni, tante risorse (probabilmente a loro volta
finanziate con l’otto per mille degli anni precedenti).
Così, per ogni dieci euro di IRPEF che l’ignaro contribuente
decide di versare nelle casse della Chiesa Cattolica, solo tre vengono
effettivamente destinate alle finalità che probabilmente l’hanno
spinto a operare la sua scelta. A chi scrive è stato opposto,
durante una recente discussione, che chi destina le proprie tasse alla
Chiesa non lo fa perché convinto dal contenuto di quegli spot,
ma piuttosto perché desideroso di finanziare genericamente la
Chiesa Cattolica e ciò che essa rappresenta, e quindi
semplicemente in quanto appartenente alla comunità dei credenti:
argomentazione assai facile da confutare, attraverso la banale
considerazione che, se così fosse, quegli spot non verrebbero
prodotti, e le risorse ad essi destinate verrebbero finalizzate ad
altri scopi.
Ma c’è di più. Che dire di tutti i fondi che
pervengono alla Chiesa da coloro che NON hanno deciso di
destinarglieli, che costituiscono il 60% del totale? Anche quei fondi,
evidentemente, vengono impiegati nel modo che si è appena
descritto, con conseguenze a dir poco paradossali.
Un esempio?
Monsignor Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia per la
Vita, in una recente intervista ha affermato, tra l’altro, che
l’omosessualità è una malattia, curabile solo se il
“vizio” non sia stato praticato troppo a lungo e non sia divenuto
quindi irreversibile. Non me ne vorrete se mentre finisco di scrivere
queste tre cartelle immagino il monsignore che se ne torna a casa dopo
il colloquio col giornalista, si accorge che è tardi e decide di
cenare, legge le ultime notizie del giornale acquistato al mattino, si
lava i denti e se ne va a dormire.
E, meraviglia delle meraviglie, buona parte di quella cena, di quel
giornale, di quel dentifricio, è stata pagata da coloro che ha
appena finito di insultare.